In questi ultimi anni Vassalli è cambiato moltissimo. C'è un momento che segna il trapasso, l'83, l'anno del provocatorio pamphlet "Arcadia", una sorta di diario (importante per ricostruire la storia di questo scrittore), dove Vassalli parla dei gruppi sperimentali con cui aveva avuto i primi rapporti letterari. Prima di questa data aveva già pubblicato tre romanzi: "Narcisso", 1968, "Tempo di massacro", 1970, "AA. Il libro dell'utopia ceramica", 1974. Poi se n'è andato ad abitare il vento della padania, tra le risaie della pianura novarese come un monaco delle lettere, e ha cominciato, letterariamente, ad abitare il tempo: in questi ultimi anni difatti ha scritto romanzi storici, partendo da scrupolose ricerche d'archivio, e su di esse ha intessuto trame e ricostruito ambienti lontani.
Il Vassalli dell'avanguardia, l'esperimentatore, muore alla fine degli anni Settanta, muore davvero in un racconto che poi venne pubblicato col titolo di "Abitare il vento", dove c'è un personaggio che nell'ultima pagina si impicca. Da quel taglio netto, da quel cambio di prospettiva nasce lo scrittore, lo scrittore Vassalli oggi, l'autore delle pagine compatte e coinvolgenti che compongono il suo ultimo romanzo, "La chimera". Il Vassalli che prediligo è questo, non quello dello sperimentalismo. Ma quella esperienza non è passata invano: agisce da sostrato del tipico tono staccato, graffiante, grottesco, ironico, sarcastico che contraddistingue la sua pagina. Senza quell'esperienza Vassalli non sarebbe quel signore e padrone che è dello strumento linguistico. Né forse "La chimera" un "Promessi sposi" alla rovescia. Ma la fase sperimentale comportava soprattutto la 'citazione' dissacratoria, il gioco tra la pluralità dei registri, un furore lessicale, un'oltranza espressionistica.
Ora invece Vassalli ha ritrovato il gusto della narrazione piena, dell'intreccio, della costruzione di personaggi vivi e veri. Ancora, c'è, come in quel lontano Vassalli, tanta rabbia, e malinconia, follia, solitudine, il senso della insensatezza di tutte le cose accadute. Ma questa tematica è entrata nel reale, ha preso il volto ora di Dino Campana, ora di un inviato in Alto Adige (in "Sangue e suolo"), ora (nell'"Oro del mondo") del cronista di un personaggio fascista. Ai personaggi e agli ambienti ricostruiti Vassalli ha conferito volume, corporeità e immediatezza. A partire da "La notte della cometa" (1984), dedicato al personaggio tragico di Dino Campana, il poeta matto ma anche il poeta puro, Vassalli ha principiato a innestare l'invenzione su una verità storica. E da ricerca nasce ricerca: nel corso delle indagini su Campana, Vassalli si imbatte nelle carte di un processo che nella primavera del 1913 aveva portato sul banco degli imputati per offesa al comune senso del pudore Italo Tavolato, redattore di "Lacerba", rivista futurista: così nasce quell'altro suo gustoso romanzo, "L'alcova elettrica" ( 1986).
Ora ne "La chimera", Vassalli ci porta sulle rive del Sesia, dove nel sec. XVII esisteva Zardino. Ne ha ricostruito l'ambiente e le pietre attraverso tracce della storia d'una giovane, Antonia, la strega di Zardino, processata e arsa viva a Novara nel 1610. È lei il personaggio principale. La sua figura prende corpo non perché l'autore ne stagli il tutto tondo, ne sbalzi e approfondisca pensieri, psicologia: prende corpo piuttosto, come in un formicolante bassorilievo, da quello che c'è intorno. Notevole il modo con cui, passo passo, Antonia incolpevole diventa 'strega', sulla base della 'voce', di voci, pettegolezzi, intrighi, calunnie e assurdità di comari, dei loro livori, dalle loro ossessioni, un delirio verbale che finisce per sovrapporsi alla realtà fino a diventare esso stesso la realtà. Antonia viene accusata di stregoneria unicamente perché si innamora di un vagabondo, un "camminante"; e ancor prima un pittore vagabondo l'aveva fatta posare per dare il volto alla Madonna di un pilone, e poi ancora aveva fatto cosa sconveniente a lasciarsi trascinare una sera a un ballo in piazza coi Lanzichenecchi.
Intorno ad Antonia, Vassalli ricostruisce altre rilevate figure: anzitutto l'ambizioso vescovo Bascapé, un prelato fanatico, un estremista; come i rivoluzionari russi del 1918 volevano costringere gli uomini a essere felici, così, tre secoli prima, Bascapé vuole costringere i suoi contemporanei a essere santi, un sogno, una chimera che porta come tutti i sogni grandi danni. Tra la folla di personaggi del romanzo notevole il bandito Caccetta, il boia Bernardo Sasso, il canonico Cavagna, il parroco don Teresio che arriva nel villaggio poverissimo di Zardino in mano fino allora a preti falsi, che della chiesa parrocchiale s'erano serviti più che altro per allevare bigatti, e Biagio lo scemo, il madonnaro Bertolino, i già citati lanzichenecchi, e i risaroli, schiavi sfruttati e bastonati come i negri nei campi di cotone, poi i "camminanti", anarchici di campagna, che non si sa mai di dove vengono e dove vanno. Vagabondi dunque, e alti prelati, pretucoli e falsi preti ("i quistoni"), gran commercianti costoro di reliquie, che la chiesa aveva fatto finta di ignorare, ma che in pratica tollerava, e bambini abbandonati, gli "esposti", e nobili senza soldi alla caccia di trovatelli per farne dei paggi, e soprattutto la folla anonima della bassa lombarda sempre in lite, in guerra, in odio secolare: un quadro mosso, popolato e terribile.
Il tempo si è chiuso su quelle storie spietate. Nella bassa tutto passa in fretta, nulla o quasi lascia un segno di sé, né della strega bruciata, né di Zardino resta memoria, soltanto pallide tracce: la memoria non incide solchi, "al contrario di quanto accade nelle valli alpine, dove il ricordo e la leggenda di un fatto possono conservarsi da un millennio all'altro; la pianura è un mare dove le onde del tempo si succedono e si annullano, evento dopo evento, secolo dopo secolo: migrazioni, invasioni, epidemie, carestie, guerre vengono oggi ricordate soltanto perché sono scritte nei libri; se non ci fosse la scrittura, non ne resterebbe traccia". Le nostre valli alpine sono ricche di leggende: l'uomo selvatico, il 'servan', e folletti, diavoli. Qui nulla. Vassalli rievoca appena una dimenticata, mitica 'fierabestia', segnalata nella bassa ancora alla fine del secolo scorso e all'inizio del nostro, una sorta di torello o di grosso cane con testa di cinghiale, o di 'porcocane', come dicevano. Questa storia, come la storia di Antonia, è una di quelle di cui si parlò per secoli nelle veglie, nelle stalle, poi tutto scomparve; non solo i miti, le superstizioni, il porcocane, ma anche le cose vere in carne e ossa, le pietre, la casa della strega, Zardino, in un giorno imprecisato, e anche quelle chiacchiere, cessarono di esistere. Vassalli ne ha dato una grandiosa ricostruzione. Ormai ha deciso che nel presente non c'è niente che meriti di essere raccontato. Scrive però con l'intento di narrare il passato come segnale del futuro, del nostro tempo (numerose nel romanzo le sottolineature esplicite in questo senso). Io non credo però che la riuscita del libro risieda nell'aver indicato le radici lontane del malessere contemporaneo. A mio avviso sta innanzitutto nella capacità di ricostruire un mondo, ambienti, realtà.
Il romanzo 'storico' di Vassalli è certo simbolico: nell'atto di descrivere superstizioni, atrocità e corruzioni dell'età della Controriforma e dell'Inquisizione Vassalli si interroga sul senso, sul perché delle cose di ieri e di oggi. Come già nell'"Oro del mondo", così nella "chimera" cerca di agguantare in qualche modo il 'carattere nazionale', credeva di poterlo fare parlando del fascismo, forse in quel romanzo la cosa gli è riuscita di meno, ora cerca di farlo con una immersione totale nel '600, dove va a cercare il '900. L'oggi è tutto un urlìo di voci sovrapposte e confuse, movimento vorticoso, il passato è fermo, e soltanto là lo scrittore può far muovere ciò che vuole muovere, ricostruire il quadro, una realtà; non la Storia, dice Vassalli, perché la storia è insensata, dissennata.
C'è Manzoni sullo sfondo, dicevo. Come nei "Promessi sposi" c'è una pioggia finale, che qui cade sulle ceneri ancor calde del rogo di Antonia, una pioggia non provvidenziale. E il racconto è frammezzato da brevi pezze d'appoggio documentarie, come le "gride" nel Manzoni, e c'è la piccola comunità contadina in balìa dei potenti e dei loro soprusi, e Novara può essere riavvicinata alla Milano manzoniana e c'è altro ancora. Ma il '600 di Vassalli è un secolo senza Dio. Le fila della storia, nel corso della quale molte chimere sono franate, tramontate, sembrano in mano alla forza della negatività`, del male. La chiusa del romanzo, quel corsivo intitolato "Il nulla", non apre manzonianamente un capitolo di speranza, ma si rinchiude su di sé, perché tutto è finito, tutto finisce, e lui non esiste, il personaggio principale, colui che conosce il prima e il dopo e le ragioni del tutto, e che purtroppo non può dircele per quell'unico motivo, che non esiste. Vassalli ha voluto scrivere pagine sulla vanità, sulla insensatezza di ciò che è accaduto, sulla storia dissennata; non tanto una rievocazione di ciò che è stato, "terra, polvere, fumo, ombra, nulla" (Góngora), e che può essere ricostruito, rinarrato.
"La chimera" è certamente una narrazione e una ricostruzione stupendamente riuscita, a tutto volume, di ambienti, personaggi; però la tensione del romanzo (che si riversa anche in una scrittura sdegnata) scaturisce dall'intento di voler negare le ragioni della Storia, la si chiami Idea, Ideologia, la si chiami Provvidenza, Dio manzoniano; non c'è nessuna 'ragione' che possa assicurare una sensatezza a ciò che è accaduto e accade. Questo nulla, questa amarezza disperata, o poetica malinconia, questa meditazione sull'incenerimento di una ventenne forte e bella, Antonia, e sull'incenerimento di ogni fatto, o detto, e di guerre, di liti, di carriere compiute e incompiute, di voci, di ogni lontano rumore e moto, e l'incenerimento anche di un paesaggio (i cui colori sono rievocati talvolta con intensità indimenticabile), questa meditazione sul nulla e sulla vanità e delirio della Storia pervade tutto il romanzo e lo definisce. E lo chiude lo stesso sguardo struggente del narratore che torna alla fine dell'opera a guardare il nulla dalla sua finestra, dove c'era Zardino: lì corre l'autostrada Voltri-Gravellona, e il dosso dove mori Antonia inutilmente, è spianato, non c'è più, nulla resta. Resterà invece questo romanzo, importante, bellissimo.
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venerdì 1 luglio 2011
Sebastiano Vassalli – La Chimera
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