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Ricerca personalizzata

mercoledì 18 settembre 2013

Trentemoller – Lost

 

Terzo album ufficiale di Anders Trentemøller: un disco che, secondo le stesse dichiarazioni dell’artista danese, vuole spostare l’accento sulla dimensione live, con un impianto maggiormente spendibile in sede di concerto. Trentemøller, d’altronde, ha già maturato l’assetto con band durante gli ultimi tour, quest’anno è stato di spalla anche ai Depeche Mode, e l’esigenza di un approccio più suonato rende “Lost” abbastanza differente dalle sue prove precedenti: non c’è lo splendido minimalismo elettronico di “The Last Resosrt” né l’emotività in trip di “Into The Great Wide Yonder”, ma pezzi grintosi come “Declive” e “Still On Fire”, parentesi post-rock introspettive (“Trails”) e le movenze sinuose al femminile che di lui conosciamo (“Candy Tongue”, “Come Undone”).
Tra le collaborazioni, nomi importanti come Low, Jonny Pierce dei The Drums, Kazu Makino dei Blonde Redhead, Sune Rose Wagner dei Raveonettes, la Marie Fisker già vista in “Sycamore Feeling”, Jana Hunter dei Lower Dens e i Ghost Society. L’ascolto in streaming è in esclusiva italiana su Soundwall, via Deezer.

mercoledì 11 settembre 2013

Scaricare contenuti dalle chat IRC

Chi di voi non ha mai scaricato un film da internet? Penso che quasi chiunque al giorno d’oggi l’abbia fatto o ci abbia provato almeno una volta, e questo state tranquilli non è detto che sia illegale. Quello che oggi voglio proporvi è un modo diverso da quelli tradizionali per scaricare film, musica e contenuti piratati più in generale; il programma in questione è mIRC, ovvero il client delle chat IRC, un software di messaggistica istantanea che ha la particolarità di essere suddiviso in canali, ognuno ne possiede uno e chiunque può entrarvi se ha a disposizione il permesso e/o l’indirizzo; sul canale a sua volta esistono delle altre particolarità, ma quella che andremo ad usare permette di scaricare pacchetti dati (opzione DCC), tramite l’inserimento di una particolare stringa di codice direttamente nella chatbox. Il problema ora è questo: dove trovo gli indirizzi dei canali e i relativi codici? Semplice esistono dei siti pieni zeppi di queste cose, ma io ve ne consiglio uno totalmente legale, veloce da caricare e ben fatto, si chiama XDCC Finder ed è raggiungibile da qui.

mIRC download

Adesso vi lascio al video per chiarirvi i vari passaggi, buona visione

P.S. Scusate per la qualità video/audio un po scarsa, ma il mio computer sente gli anni.

lunedì 9 settembre 2013

Glasvegas - Later... When The Tv Turns To Static

Later...When the Tv Turns to Static (Deluxe Edition)

https://myspace.com/glasvegas

Tracklist
1.Later...When the TV Turns to Static
2.Youngblood
3.Choices
4.All I Want Is My Baby
5.Secret Truth
6.I'd Rather Be Dead (Than Be with You)
7.Magazine
8.If
9.Neon Bedroom
10.Finished Sympathy

Una dose eccessiva di emozioni messe a nudo e un romanticismo intenso, quasi spavaldo, hanno delineato gli scozzesi Glasvegas come una delle band più amate-odiate degli ultimi anni.
Il loro esordio del 2008 resta un affresco ancora vivo di malinconia, feedback e testi ricchi di dilemmi, mentre l’outing emotivo del successivo “Euphoric /// Heartbreak” era sì fragile, ma a tratti ancora convincente nonostante il tono eccessivo degli arrangiamenti.
James Allan con “Later…When The TV Turns To Static” affronta la prima crisi d’ispirazione concentrando l’attenzione su un suono più diretto e pulito: nonostante il flusso resti godibile non c’è traccia di quell’ardore che ha reso i Glasvegas una band di culto.
Se le prime note della title track sembrano proiettare tutto in una dimensione più aulica, le tensioni restano in attesa di un’evoluzione che tarda a venire, lasciando una leggera sensazione di amaro in bocca. Purtroppo le dieci tracce restano tutte legate a questo schema involutivo che raramente concretizza il corpo armonico, mentre i testi indugiano sugli ardori giovanili senza la convinzione degli esordi.
Il tono glorioso di brani come “Geraldine” o “Shine Like Stars” e la malinconia persuasiva di "Whatever Hurts You Through The Night" sono ormai un ricordo e quello che resta è un piacevole e innocuo insieme di canzoni agrodolci.
In verità, per un attimo viene voglia di entusiasmarsi: “Youngblood” accenna la stessa enfasi del passato, “If” sprizza rabbia e energia allo stato puro (citando anche i Talking Heads e la loro “Road To Nowhere”), ma sono solo residui di un vigore che sembra dileguarsi nella banalità da talent-show di “Choices” e nel pasticcio armonico di “All I Want Is My Baby”.
Lo slancio di “Sacred Truth” è senz’altro encomiabile e per un attimo capace di catturare l’attenzione, ma la mancanza d’identità resta il vero problema del terzo capitolo dei Glasvegas: brani come “I’d Rather Be Dead (Than Be With You)” e “Neon Bedroom “ non hanno quel brio capace di resuscitare la passione del primo album.
Il passaggio alla gloriosa Bmg non sembra aver ridato slancio a James Allan, e il budget più solido ha contaminato le sonorità del gruppo, rendendole troppo pulite e prevedibili: nonostante il buon cuore dei fan, “Later... When the TV Turns to Static” è destinato a restare un capitolo minore della loro carriera discografica. (Ondarock)

sabato 7 settembre 2013

Placebo - Loud Like Love

Loud Like Love [+digital booklet]

https://myspace.com/placebo

Too Many Friends” è il primo singolo tratto da “Loud Like Love”, il nuovo disco dei Placebo!

Tracklist
1 Loud Like Love
2 Scene Of The Crime
3 Too Many Friends
4 Hold On To Me
5 Rob The Bank
6 A Million Little Pieces
7 Exit Wounds
8 Purify
9 Begin The End
10 Bosco

martedì 3 settembre 2013

The Antlers – Hospice

Tracklist
1.Prologue
2.Kettering
3.Sylvia
4.Atrophy
5.Bear
6.Thirteen
7.Two
8.Shiva
9.Wake
10.Epilogue

http://www.myspace.com/theantlers

Antlers, base a Brooklyn, è l'idea del cantautore Peter Silberman. Nel suo primo album, "Uprooted" (2006), la sua rielaborazione della canzone folk intimista arriva a una sorta d'illusione acustica tra Syd Barrett e la folktronica, con corredi sonici di tutto punto (talvolta noise-psych, talvolta silenti). Il secondo tentativo "In The Attic Of The Universe" intuisce la direzione, grazie all'utilizzo di campionamenti, live electronics, effetti lo-fi, strati sonici crepuscolari, misture melodiche, e nuovi aromi psichedelici. Il suo uso del drone, peraltro in linea con le tendenze contemporanee, rimpiazza del tutto gli arrangiamenti e le orchestrazioni tradizionali.
Ormai attorniato in pianta stabile da Darby Cicci e Michael Lerner, Silberman progetta "Hospice", con cui traduce integralmente quelle intuizioni a progetto d'insieme, coagulando tanto i nuovi membri quanto l'idea-album. Spartito tra angelica contemplazione e cura certosina, il disco lascia sgorgare liberamente la densa schizofrenia che ne consegue, come in "Kettering" (suoni aerei miscelati a piano ovattato insistente, su una nenia depressa pseudo-soul alla Antony), ma mette anche in chiaro il suo fiuto per orchestrazioni stratificate e costrutti armonici disorientanti.
Ne è prova l'isterismo con cui fonde folk melodico e shoegaze in "Sylvia", alternando un pianissimo di distorsioni acquatiche e mormorio Drake-iano a un fortissimo sgolato Slowdive-iano, sopra un acceso battito marciante, o come "Bear" costruisca una ficcante cantata partendo da un semplice, intenso carillon da bebè (quasi una fusione tra un'accorata melodia di Cat Stevens e la pulsazione lisergica dei Flaming Lips). O come nebbie di live electronics, feedback lirici di chitarra e ondate drone ribollenti coesistano nell'ipnotico ambient di "Thirteen" (per poi sfumare in un toccante recitativo d'opera Cat Power-iano per soprano asmatico e piano melanconico).
Anche più d'effetto è il commosso, carezzevole carosello psicotico di "Two", uno strabiliante crescendo annunciato da un alacre strimpellio e da un flusso di coscienza in falsetto bisbigliato, culminante in subissi di distorsioni garage-rock, accordi di piano in sovratono maestoso e contrappunto di fiati medievali (a raggiungere un'estasi degna dei tardi Talk Talk).
Continuando ad esplorare la sua tavolozza sonica, Silberman impagina lo stratificato, commosso, poliritmico pop da camera di "Shiva", e la spettrale carola senza parole del "Prologue", costretta in una membrana oscillante di elettronica distorta, echi e loop. Silberman è solo nell'"Epilogue", un madrigale voce-chitarra che scompare improvvisamente in un arcano frattale di organo, virtualmente mutante all'infinito.
Le sue torture sentimentali più difficoltose sono organismi autonomi che torreggiano a metafora dell'album, e pure riescono a implementare una decisa qualità onirica. "Atrophy", otto minuti, procede per continuum di beat minimal con cui avvicenda un rullante marziale, una canto-miraggio, rintocchi gravi e radiazioni atmosferiche che si alzano e incorniciano un contrito tema di fuga barocca-new age che farebbe rosicare Mark Kozelek. Una muraglia acuminata di dissonanze elettromagnetiche lo polverizza in sfaceli di cristalli elettronici, fino a spegnersi in uno stornello acustico. I nove minuti di "Wake" sono meno arditi ma anche più comunicativi, secondo armonie barbershop deformi, sfocate, che si confondono pian piano con l'organo, fino a sfociare in un glorioso slogan corale, paradisiaco e bandistico.
Lungi dalla mera imitazione degli Arcade Fire, il disco ne risale direttamente alla stessa fonte, ricombinando elementi classici o artificiali a scopo salacemente poetico. Ma anche disperatamente cinico, metaforicamente impavido. Contro la sofferenza, per la sofferenza. La coltre ambient che lo circonda, lo modella, lo disfa e lo ritempra è l'intuizione - se non più felice - più genialmente oleografica, e ha il suo controcampo nei resoconti romanzati che accompagnano le canzone dai titoli monolessici, che Silberman ha accuratamente inserito nelle liner notes, con raro senso culturale. I vocalizzi di "Thirteen" sono della conterranea cantautrice neofolk Sharon Van Etten. (Ondarock)

lunedì 2 settembre 2013

Hungry Lucy – Pulse Of The Heart

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https://myspace.com/hungrylucy

Tracklist
1.Just Imagine
2.Pulse of the Earth
3.Balloon Girl
4.Bumble
5.Hill
6.Simone
7.Voyeur
8.The Standing Ones
9.Sunday Smiled
10.Wandering

Nessuna svolta e l’ennesimo lavoro di Christa Belle e War-N Harrison ancora una volta si offre a chi cerca l’easy listening al di fuori dei territori del music biz. Il gotico onirico ‘catchy’ ritorna in dieci immediate tracce sulla scia dei lavori precedenti composti da stesure alla tastiera tra future-pop slow e classicismi romantici su cui la voce di lady Christa si adagia delicata come nel passato.
Se in qualche traccia il combo avesse osato qualche soluzione alternativa proponendosi in nuove vesti sonore, sicuramente “Pulse Of The Earth” avrebbe molte chance in più; “Wandering” ne è l’esempio e la incontriamo sul finale d’album, orchestrata a meraviglia tra estasi eteree di tastiere ed archi, immediata nel suo essere un gothic pop come si incontra in altri progetti europei, su tutti Chandeen o nei connazionali Collide con cui Hungry Lucy ha più punti in comune.
Tra le dieci tracce si lasciano apprezzare le ballate più romantiche come “Baloon Girl” o “The Standing Ones” dove Christa si apre localmente (cosa che non succede spesso), dando un’ottima prova di un ugola che potrebbe avere l'audacia di proporsi più spesso al di fuori dei contesti vocali del sussurrato sentimentale.
“Sunday Smiled” è un altro momento in cui si evidenziano le qualità compositive che sfruttando la formula del duetto intimista tra le due voci creano la giusta atmosfera che corona la composizione strutturata pure sul duetto pianoforte/violoncello (anche se entrambi usciti dal synth ma che importa…).
Era il 2000 quando “Apparitions”  segnava il debutto del combo americano: a dieci anni di distanza dieci tracce per ricominciare un ciclo (in mumerologia il dieci significa la fine e l’inizio di un ciclo) e “Pulse Of The Earth” ha i semi di piccoli cambiamenti che nel futuro possono dare nuovi significati alla musica di Hungry Lucy, basta crederci fino in fondo. (soundsbehindthecorner)

domenica 1 settembre 2013

Riccardo Milani – Benvenuto Presidente!

Locandina Benvenuto Presidente!

Un film di Riccardo Milani. Con Claudio Bisio, Kasia Smutniak, Remo Girone, Beppe Fiorello, Cesare Bocci, Massimo Popolizio, Gianni Cavina, Omero Antonutti, Piera Degli Esposti, Patrizio Rispo, Michele Alhaique, Franco Ravera. Commedia, - Italia 2013.

Peppino è un bibliotecario col vizio delle storie e della pesca alla trota. Onesto e genuino, vive in un piccolo paese di montagna sognando un futuro migliore per il suo unico figlio, venditore rampante di un articolo sportivo. A Roma intanto destra, sinistra e centro discutono le sorti del paese e l'identità del nuovo presidente della Repubblica. A sorpresa e per provocazione viene eletto Giuseppe Garibaldi. Generale, patriota e condottiero italiano naturalmente defunto il cui nome e cognome è stato però ereditato da almeno cinque italiani. Peppino si fregia di quel nome e dell'età giusta per ricoprire la carica di presidente. Eletto suo malgrado, viene prelevato dalle sponde del fiume e condotto a Roma. Pescatore di trote e di sogni, viene risolutamente invitato a rinunciare al mandato. Ma al momento di pronunciare il discorso alla Camera, Peppino Garibaldi avverte l'opportunità di fare qualcosa e di cambiare finalmente il suo Paese. Rifiutate le dimissioni e con l'aiuto di un'avvenente vice segretario ricomincerà dagli italiani.
Da qualche tempo e qualche film in Italia il cinema ha perso quel riguardo per l'autorità che relegava il 'politico' in un genere impegnato, aprendolo all'evasione, mettendolo alla berlina, criticandolo duramente e consegnandolo alla libertà della fantasia. Se Paolo Sorrentino e Marco Bellocchio hanno trasfigurato la cronaca politica trasformandola in alta meditazione poetica, il cinema medio e popolare italiano cavalca l'onda antipolitica e sceglie l'uomo comune che si ritrova per caso alla presidenza. Esauriti bipolarismi(?), contrapposizioni nord/sud, risate, tarallucci e vino, in sala e in Parlamento scendono politici improvvisati mostrati nella loro umanità e celebrati come paladini del mondo. Pacifico e tenero progressista, Claudio Bisio diventa presidente per 'un giorno' della Repubblica italiana nella nuova commedia di Riccardo Milani, che smaschera cattivi e 'deviati' e propone al Paese un programma di rieducazione civica.
La sua inventata figura presidenziale è funzionale a fare satira e critica sociale, alludendo all'esistente o puntando chiaramente l'indice. Scritto da Fabio Bonifacci, Benvenuto Presidente, alla maniera di Viva la libertà, insedia un 'impostore' al potere producendo risate e gag, qualche volta efficaci.
Il segretario di partito di Roberto Andò e il presidente di Riccardo Milani però sono tutt'altro che figurine sprovvedute che gonfiano il petto e sorridono inetti nel loro abito istituzionale. Professore l'uno, pescatore l'altro, sembrano comprendere bene quello che gli accade attorno, sciogliendo il guinzaglio dei rispettivi consiglieri.
Nonostante alcune scene indiscutibilmente retoriche come il soccorso ai senzatetto e l'animazione in ospedale, la commedia di Milani funziona soprattutto per quella grossolana innocenza diffusa nel film e incarnata da Claudio Bisio, che nel monologo sanremese 'sugli elettori impresentabili' aveva anticipato la questione del degrado morale. Questione che riguarda tutti e che è stata causata da tutti. Parafrasando De Gregori: la storia (italiana) siamo (anche) noi, nessuno si senta escluso. Controcampo del campo, abitato dal presidente Peppino Garibaldi, è allora il popolo italiano (e sovrano), seduto attorno alla tavola apparecchiata e davanti alla televisione accesa, che ripete come un mantra l'idea di una classe politica marcia.
Al Paese reale, che si sente assolto, ai nuovi 'comici', che vorrebbero distruggere tutto senza pensare a costruire un luogo altro dell'amministrazione e delle relazioni umane, Milani risponde richiamando(ci) alla responsabilità civile. Lo fa attraverso la metafora dell'uomo qualunque costretto a misurarsi con i gravosi compiti del ruolo. Metafora che non sembra essere né neutra, né ingenua, aprendo all'intervento (e alla coscienza) individuale.

Il Voto di Pierolupo: 2/5
Ma che coltellata, un concentrato di banalità e luoghi comuni, scene stucchevoli o puerili, personaggi con comicità zero, sceneggiatura zero. Non sono riuscito ad arrivare alla fine.

Misophone - I Sit At Open Windows

I sit at open windows

https://myspace.com/misophone
Tracklist
1.Oradea At Dawn
2.Castles In The Sand
3.Run, Run, Run
4.A Ghost Of Right Wing America
5.Days Of Regret
6.Skylark In F
7.Lost March For The Dead
8.Rest Asleep
9.Bull Horn Instrumental
10.The Faces In The Window
11.Interlude 2
12.Cow Bell Blues
Vivere di rendita è una strategia che alla lunga rivela i suoi limiti, e questo è quello che sembra accadere anche agli inglesi Misophone, che a furia di pescare dall’enorme serbatoio di brani scritti negli anni passati riassemblandoli a ritmo serrato in nuovi album, forse iniziano ora a intravedere il fondo del barile. A circa sei mesi dalla pubblicazione del caleidoscopico “Be Glad You Are Only Human”, infatti, il duo Herbert-Welsh si ripresenta con un nuovo lavoro che somiglia molto a una raccolta di b-sides, conservando solo qualche barlume d’ispirazione in un complesso corale discontinuo e confuso.
“I Sit At Open Windows” è caratterizzato da un approccio sapientemente lo-fi, talora in grado di donare ai brani un sapore piuttosto amatoriale nella sua essenzialità (“Castles In The Sand”, “Days Of Regret”), più spesso arricchito da stratificazioni strumentali e rumorismi di ogni sorta. 
Tornano nuovamente alla ribalta le atmosfere inquietanti “da carosello degli orrori” che alimentavano la magnetica follia di “Be Glad You Are Only Human”, delineate qui dallo stillare cadenzato di glockenspiel e music box, dal sussurro spettrale della singing saw e dall’incedere plumbeo dell’organo (“Oradea At Dawn”, “A Ghost Of Right Wing America”, “Lost March For The Dead”, “Rest Asleep”). Imprevisti viaggi onirici in terre lontane (il tripudio balcanico a chiusura di “Rest Asleep” o le movenze orientaleggianti di “Bull Horn Instrumental”) e contaminazioni schizoidi di blues (“Cow Bell Blues”) contribuiscono a sbriciolare il lavoro in frammenti slegati, privi di un collante che li unisca, tenuti insieme forse solo dalla matrice psych-(più o meno)-pop che si rivela però dispersa in un quadro tutto sommato poco definito.
“I Sit At Open Windows” sembra conservare integra la raffinata sperimentazione del suo predecessore ed è pervaso da quelle stesse atmosfere di dolce inquietudine che caratterizzavano “Be Glad You Are Only Human”. In questo lavoro, tuttavia, i colori pastello della componente più pop vengono rimaneggiati in maniera non troppo convincente e se si escludono sporadici episodi (“Castles In The Sand”, “A Ghost Of Right Wing America”) le melodie passano quasi sempre in sordina, lasciando poca traccia di sé alla fine dell’ascolto.
Seduti davanti alla finestra, i Misophone se ne stanno emblematicamente a guardare fuori, catturando colori e suoni senza particolare trasporto emotivo. Speriamo che tornino presto all’aria aperta, a cavalcare sulla loro spaventevole giostra pop e a deliziarci con nuovi incubi al profumo di zucchero filato. (Ondarock)


 

Misophone - Be Glad You Are Only Human

Be glad you are only human

https://myspace.com/misophone

Tracklist
1.Cavalcade
2.The Motherless Moth Headed Bread Boy
3.Grey Clouds (Part 2)
4.Goodbye
5.As She Walked Out Of The Door
6.One Last Time (Part 2)
7.Be Glad You Are Only Human
8.I Sleep Like The Dead
9.Homeward, Gone
10.Spisske Nova Ves
11.Been In The Storm
12.I Hope I Might Be Wrong
13.Life Is Good

Il preludio alla paura, quell’anticamera di serenità quasi surreale, dilatata fino a risultare iperbolicamente ansiogena: è da qui che origina il fascino di tanta filmografia del terrore, ed è da qui che si può partire per comprendere meglio il magnetismo sprigionato da un album come “Be Glad You Are Only Human”, dove un pop che profuma di zucchero filato sale a farsi un giro sulle folli giostre della psichedelia e ne torna ammantato di un’aura oscura e inquietante degna delle migliori horror OST.
S. Herbert e M.A. Welsh sono un eclettico duo inglese che risponde al nome di Misophone: S. è un compositore di estrazione classica in grado di suonare più di venti strumenti diversi (e, a quanto si dice in giro, il numero sarebbe in continua crescita) mentre M.A., voce e banjo dei Misophone, è un artista-scrittore cui si devono le incursioni dei rumorismi più disparati oltre che i testi cupi dei brani, che a tratti sembrano uscire dalla penna di Jeff Mangum. Nel giro di soli cinque anni di attività, i Misophone hanno collezionato centinaia di canzoni e pubblicato ben dodici album (un tredicesimo è già in arrivo, a neanche sei mesi dal release di “Be Glad You Are Only Human”), dimostrando una vena creativa fervidissima e instancabile.
Come il precedente album “Where Has It Gone, All The Beautiful Music Of Our Grandparents? It Died With Them, That’s Where It Went...” (un titolo splendido, peraltro), la dodicesima fatica dei Misophone è stata licenziata in tiratura limitata da Kning Disk, una piccola label svedese che presta una cura straordinaria a ogni minimo dettaglio dei suoi album (tra cui lavori di Erik Enocksson, Peter Broderick e Library Tapes), partendo dall’estrema raffinatezza delle coverart fino ad arrivare al ringraziamento da parte dell’artista su ciascuna delle copie vendute, tutte numerate a mano.
“Be Glad You Are Only Human” si apre sul filo di una puntina da vinile, che si posa su un accorato lamento proveniente da un tempo e da un luogo lontani e che tinge già da subito di toni seppia le atmosfere dell’album. A questa ouverture fa seguito una serie di brani dalle melodie ariosamente pop, velate di un’ombrosa inquietudine che grazie al sapiente utilizzo di music box, organo, glockenspiel e honky tonk riesce a evocare una paura quasi irrazionale e per questo più che mai attraente (“The Motherless Moth Headed Bread Boy”, “As She Walked Out Of The Door”, “Spisske Nova Ves”), raggiungendo in più occasioni insospettabili picchi di tensione emotiva, come nella calma funerea della strumentale title track, nel crescendo balcanico (di stoker-iana memoria) di “Homeward, Gone”, o nella cadenza da walzer degli orrori di “I Sleep Like The Dead”.
M.A. Welsh infesta i brani di suoni stregati, che volteggiano leggeri come fantasmi conferendo un tocco di psichedelia e rimandando al lato più “leggero” dello sperimentalismo degli Olivia Tremor Control.
Forse è proprio nel binomio tra l’attrazione e il turbamento, sentimenti che scaturiscono all’ascolto in maniera quasi simbiotica, a risiedere il fascino questo piccolo gioiello di psychedelic pop, ed è proprio qui che sta la differenza principale con il precedente “Where Has It Gone...”, che condivide senz’altro con “Be Glad You Are Only Human” il pop pastello, le melodie malinconiche e gli accenni di psichedelia, ma che manca completamente della capacità di quest’ultimo di ipnotizzare l’ascoltatore tra i colori del suo spaventevole, mirabolante carosello.
L’album si conclude con “Life Is Good”, dove la voce gentilmente ovattata di M.A. Welsh sembra cedere il passo a quella oscura di malvagi Oompa Loompa cacciati dal paradiso di cioccolata di Mr. Wonka. Alla chiusa (apparente) del brano fa seguito un sussurro di piano e archi, che scivolano via in una sorta di vaporoso “to be continued”. E’ una promessa o una minaccia? Difficile dirlo, ma una cosa è certa: fortunatamente per noi, non è finita qui. (Ondarock)

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