Si narra che il corvo, nel giardino dell’Eden, avesse un manto di piume variopinte ed una voce melodiosa. Fu il peccato originale a renderlo nero come l’abisso e a condannarlo a cibarsi di carogne. Solo alla fine dei tempi il corvo potrà ritrovare l’armonia del suo canto: fino a quel giorno, il suo aspro gracchiare resterà come un monito del male che alberga nel cuore umano.
“Rook”. Corvus frugilegus, secondo Linneo. Così si intitola il quinto album degli Shearwater, ancora una volta omaggio alla passione per l’ornitologia del leader Jonathan Meiburg. I corvi si stagliano lungo il ciglio della strada, intenti a scrutare immobili il mondo come in attesa di prenderne possesso una volta per tutte: un incubo hitchcockiano evocato fin dalla copertina del nuovo disco della band di Austin: “Amen, let their kingdom come tonight / Let this dream be realized”.
Dopo avere annunciato la sua dipartita dagli Okkervil River, in cui ha militato come tastierista fino all’ultimo “The Stage Names”, Meiburg torna in scena con un disco che si pone in diretta continuità con quel “Palo Santo” che due anni fa aveva sancito la consacrazione della band nata da una costola del gruppo di Will Sheff. Nel frattempo, gli Shearwater hanno inaugurato il nuovo contratto con la Matador dando alle stampe una versione profondamente riarrangiata del disco precedente: una ricerca di timbri più elaborati e di sfumature più complesse che prosegue anche nel nuovo album, registrato ad Argyle in Texas alla fine dello scorso anno con l’assistenza di Matthew Barnhart, pur non riuscendo appieno nell’impresa di eguagliare la straordinaria forza evocativa di “Palo Santo”.
Gli Shearwater di “Rook” suonano più radioheadiani che mai: a rivelarlo basterebbe l’intreccio di pianoforte e chitarre di “Snow Leopard”, che si dipana come un “Amnesiac” apocrifo soggiogato dallo spirito della terra, con la voce di Meiburg che si fa ora sottile come quella di Thom Yorke, ora vibrante come un richiamo di battaglia. “Rooks” si presenta sin da subito come uno dei brani più memorabili degli Shearwater: un arpeggio carico di drammaticità, un pulsare di basso e batteria dalle scure ombre wave e un perentorio Meiburg a segnare la strada tra cori incalzanti di stampo Arcade Fire. L’apparizione dei fiati è l’unico tributo agli Okkervil River di tutto il disco: gli Shearwater, ormai, non hanno più bisogno di cercare legittimazioni altrove.
Secondo Meiburg, mentre “Palo Santo” era come “una serie di isole, uno strano arcipelago sospeso nel mare”, “Rook” “inizia in mare aperto e si immerge per esplorare continenti sommersi”. Le ambiziose orchestrazioni di “Leviathan, Bound” e “Home Life” emergono tra pianoforte ed archi con un’eterea sinuosità degna dei Sigur Rós meno post. “On The Death Of The Waters” si leva dal brivido di un flebile sussurro per poi infrangersi contro un muro lussureggiante, mentre “Lost Boys” inizia galleggiando su nubi impalpabili e si trasforma in una marcia solenne che chiama a raccolta il popolo dei cieli.
“Volevo che non si sapesse in che direzione vanno le canzoni”, spiega Meiburg. “Alcune si interrompono molto bruscamente, altre proseguono ancora e ancora. Volevo che non ci fosse nessun senso di sicurezza su quello che accadrà nella canzone successiva”. Dal tenue arpeggio acustico alla Bon Iver di “I Was A Cloud” si passa così alle chitarre robuste e taglienti di “Century Eyes”, con un ritmo deciso a sostenere il tono imperioso di Meiburg.
C’è un senso di apocalisse imminente che grava sui brani di “Rook”. È la voce di una natura moribonda a parlare attraverso la musica degli Shearwater: un’arca che naufraga tra le onde, le fauci di un leviatano, una migrazione silenziosa. Stridori, riverberi ed echi di un mondo sul punto di spezzarsi, come quelli che dominano il fluttuante strumentale “South Col”. È un ammonimento al genere umano: “You were not the first to arrive / And will not be the last to survive”.
I chiaroscuri pianistici dell’epilogo di “The Hunter’s Star” si annunciano così come un rarefatto requiem per la terra che conosciamo, con Meiburg a tessere il suo struggente addio tra le coloriture degli archi: “Nemmeno un bambino / Si sveglia alla luce di un sole che diviene scarlatto / Come un pettirosso / E nemmeno una leonessa / Sale sull’ultimo, grande scafo / Sulle onde / Che chiude / Un mondo / Che non ritornerà mai più / E nemmeno un suono sfugge / Dalla notte che giunge”. Presto i corvi torneranno a cantare. (Ondarock)
Tracklist
1. On The Death Of The Waters
2. Rooks
3. Leviathan, Bound
4. Home Life
5. Lost Boys
6. Century Eyes
7. I Was A Cloud
8. South Col
9. The Snow Leopard
10. The Hunter's Star
http://www.myspace.com/shearwater
http://www.mediafire.com/?be4xjtmdiyr
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