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lunedì 18 luglio 2011

Kraftwerk - Radioactivity

Radio-Activity
 
L’enfant terrible del cinema tedesco degli anni Settanta, Rainer Werner Fassbinder, in un’ intervista alla Suddeutsche Zeitung, rivelò che la domenica mattina era solito leggere i quotidiani ascoltando Radioactivity dei Kraftwerk.
E Fassbinder aveva ragione: sono anch’io d’accordo che uno dei modi migliori per far esplodere la giornata è ascoltare quell’album, il quinto della formazione tedesca, uscito nell’ottobre del 1975.
Questo lavoro, come suggerito dal titolo, voleva essere una sorta di concept album incentrato su una duplice tematica: la radio ed il problema del nucleare, perno della guerra fredda e del clima che si toccava tangibilmente in quegli anni.
Radioactivity segnò, all’epoca, una vera e propria svolta nella discografia dello storico quartetto di Dusseldorf. Difatti l’album, il primo prodotto in proprio dai componenti, Ralf Hütter, Florian Schneider, Karl Bartos e Wolfgang Flür, venne pubblicato in due versioni: una internazionale, correlata da titoli in inglese, ed una in tedesco (dal titolo Radioactivität), ovviamente destinata al mercato nazionale.
Altro significativo ed imprescindibile punto di svolta fu l’esclusivo ricorso a strumenti elettronici, come Minimoog, Arp Odyssey, oscilloscopio, abbandonando la chitarra elettrica, il violino ed il flauto presenti invece nei precedenti lavori.
Altrettanto innovativa fu la copertina dell’album, realizzata da Emil Schult (collaboratore della band persino nella stesura di alcuni testi del disco). Sulla cover, emblematicamente, è posta una radio, visibilmente un modello degli anni Trenta; al suo interno, una foto di gruppo della band correlata dall’immagine di un’antenna emettente onde elettromagnetiche sovrasta i credits.
Tutte le tracce dell’album, dalla sognante intro Geigerzähler a Nachrichten, vennero composte dalla coppia d’assi Ralf Hütter e Florian Schneider, impagabili menti della band, anche se l’apporto di Schult fu imprescindibile nella stesura del brano Radioactivity, che uscì in tre versioni diverse (inglese, tedesco, francese) e viene ancora passato in radio, rimanendo decisamente un classico della formazione.
Tutto l’album è come permeato da una patina a metà tra l’onirico ed il meccanico, che sono sì peculiari nei Kraftwerk, ma che qui risultano più che mai accentuati, trascinanti ed ammalianti, senza tuttavia rinunciare a quella sottile ironia mitteleuropea, laddove un pezzo come Ohm sweet Ohm (chiara parodia della preghiera indiana Om, resa celebre anche da George Harrison) lo permetta.
Tutti i pezzi presentano una struttura semplice ma efficae, strofa più ritornello, ma il ricorso, dosato e geniale, a strumenti elettronici rende il tutto mozzafiato. Ogni dettaglio è al suo posto, e l’ordine dell’album è come se riflettesse quasi l’ordine cosmico.
E quindi, un consiglio: recuperate quest’album. Mettetelo nella vostro autoradio e guidate nella nebbia di una domenica mattina ancora non d’estate. O nelle serate dalle luci più elettriche.
Sentirete la radioattività in voi. E ne canterete, in loop, il ritornello.
 
Tracklist
1. Geiger Counter
2. Radioactivity
3. Radioland
4. Airwaves
5. Intermission
6. News
7. The Voice of Energy
8. Antenna
9. Radio Stars
10. Uranium
11. Transistor
12. Ohm Sweet Ohm
 
 
 

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