Link & Review Research

Questo è un motore Google per la ricerca di recensioni e link, copia e incolla autore e titolo

This engine is a Google search for reviews and links, copy and paste title and author

Ricerca personalizzata

giovedì 29 agosto 2013

Misophone - Another Lost Night

Another Lost Night

https://myspace.com/misophone

Tracklist
1.    Blue Bird
2.    I Don’t Like What I See
3.    Dirty Girl
4.    Another Lost Night
5.    Love Is A Blue Bottle Fly
6.    Held The Hand
7.    Let Us Go Then You And I
8.    Dawning Of An Old Era
9.    The Sincerest Form Of Flattery
10.    After It Got Dark
11.    The Sun Burns Our Skin
12.    North Cumbrian Ukulele Song
13.    To Lucy, Not Knowing Why

Ritornano a noi M.A.Welsh e S.Herbert, magico duo di strumentisti inglesi, di Carlisle, e lo fanno con un disco, "Another lost night" che, nel solito stile del duo, si presenta con una splendida copertina retro. Quinto disco ufficiale per loro, al loro attivo anche molti dischi autoprodotti nei primi cinque anni di attività (2002-2007) oltre ad una quantità industriale di canzoni in archivio, pronte per la pubblicazione, con una fertilità creativa alla maniera di altri splendidi devianti quali Neutral Milk Hotel, Guided by Voices e Magnetic Fields. Lo stile dei Misophone è tendenzialmente folk, ma non nella pura accezione del termine, ci sono tracce di psichedelia anni sessanta, i loro sono dischi fuori dal tempo, come del resto gli artworks sembrano suggerire. In questa ultima splendida opera sono presenti undici brani originali e due cover, una degli Eels, "Dirty Girl" l'altra del redivivo ed ormai rivalutato Daniel Johnston, "Held by hand": entrambe sono eseguite con un gusto superiore.
Come tengono a precisare i due inglesi le canzoni del disco sono state composte nel corso degli ultimi anni e finalmente ricollocate in questa deliziosa raccolta. Voci celestiali, soffici arrangiamenti ci accompagnano in questa ennesima notte persa, con strumenti come violini, ukulele, harmonium, harmonica, mellotron, che si intrecciano magicamente contribuendo a creare un atmosfera di pace ed oasi sonore incontaminate. Inutile citare un pezzo o l'altro, il disco va gustato nella sua totale uniformità, a livello di armonie vocali io ci ho ritrovato qualcosa dei misconosciuti Forever Amber e qualche aroma magico targato Pearls Before Swine. Se proprio mi devo sbilanciare After it got dark e I don't like what i see sono sinceramente bellissime, canzoni color pastello come la bruma autunnale, vere pennellate immaginifiche e chissà quanti  ascoltatori vi si avvicineranno, è il solito destino di questi magici perdenti. Puro nettare per palati ed orecchie stralunate e fuori dal tempo. (Distorsioni)

La Blanche Alchimie - La Blanche Alchimie

https://myspace.com/blanchealchimie

Tracklist
1. Sacred alchemy
2. Addiction
3. 1941
4. Little island girl
5. Aloe
6. The kingdom
7. Virgin bride
8. Contaminazione bianca
9. Lullaby (in the still of the night)

Due nomi a capo del progetto “La Blanche Alchimie”, il polistumentista Federico Albanese e la voce del gruppo, Jessica Einaudi. Per chi ha avuto l'occasione di sentirli dal vivo in giro per i palchi italiani (vedi Mi Ami, M.E.I. o tour di supporto ad Offlaga Disco Pax e Paolo Benvegnù), oppure, perché no, all'In The City Festival di Manchester, sa bene di chi parlo. Una volta incontrati, infatti, difficilmente il cervello avrà voglia di nasconderli in un angolo e così il gioco è fatto, vi sarete innamorati di questo duo e di quelle atmosfere tanto intime da farvi arrossire.
Malinconici, soavi e poeticamente crudi come un serial killer capace di toccare le corde più profonde dell'animo, con eleganza ti circondano di specifiche note in grado di provocare gli annessi rigurgiti emotivi dati dallo sconvolgimento interiore creato. Impossibile azionare il tasto eject fino a quando non sarà il silenzio ad ordinarvelo, ma a quel punto potrebbe essere troppo tardi, ci sarete dentro fino all'osso e quelle sensazioni vi seguiranno ovunque andrete riecheggiando nella vostra mente.
Archi, pianoforti, chitarre, rhodes, una voce profonda, delicata, dai lati queruli ma allo stesso tempo armoniosi, per un rock sperimentale dai tratti acustici, elettrici o più classici che si ispirano talvolta alla chanson francaise. Sono questi gli elementi cardine del concept sull'amore filtrato attraverso la sensibilità dei due artisti e, mediante tali, evitano di cadere in appeal legati al siffatto sentimento, universale sì ma molto spesso banalizzato e strumentalizzato fino a ridicolizzarlo.
Fissata finalmente su disco la prima parte del loro percorso, c'è da dirlo, un lavoro del genere ci voleva. (Liverock)

Silvia Avallone - Acciaio

Acciaio

Nei casermoni di via Stalingrado a Piombino avere quattordici anni è difficile. E se tuo padre è un buono a nulla o si spezza la schiena nelle acciaierie che danno pane e disperazione a mezza città, il massimo che puoi desiderare è una serata al pattinodromo, o avere un fratello che comandi il branco, o trovare il tuo nome scritto su una panchina. Lo sanno bene Anna e Francesca, amiche inseparabili che tra quelle case popolari si sono trovate e scelte. Quando il corpo adolescente inizia a cambiare, a esplodere sotto i vestiti, in un posto così non hai alternative: o ti nascondi e resti tagliata fuori, oppure sbatti in faccia agli altri la tua bellezza, la usi con violenza e speri che ti aiuti a essere qualcuno. Loro ci provano, convinte che per sopravvivere basti lottare, ma la vita è feroce e non si piega, scorre immobile senza vie d'uscita. Poi un giorno arriva l'amore, però arriva male, le poche certezze vanno in frantumi e anche l'amicizia invincibile tra Anna e Francesca si incrina, sanguina, comincia a far male. Silvia Avallone racconta un'Italia in cerca d'identità e di voce, apre uno squarcio su un'inedita periferia operaia nel tempo in cui, si dice, la classe operaia non esiste più.

Alessandro D'avenia - Bianca Come Il Latte, Rossa Come Il Sangue

 Bianca come il latte, rossa come il sangue

Leo è un sedicenne come tanti: ama le chiacchiere con gli amici, il calcetto, le scorribande in motorino e vive in perfetta simbiosi con il suo iPod. Le ore passate a scuola sono uno strazio, i professori "una specie protetta che speri si estingua definitivamente". Così, quando arriva un nuovo supplente di storia e filosofia, lui si prepara ad accoglierlo con cinismo e palline inzuppate di saliva. Ma questo giovane insegnante è diverso: una luce gli brilla negli occhi quando spiega, quando sprona gli studenti a vivere intensamente, a cercare il proprio sogno. Leo sente in sé la forza di un leone, ma c'è un nemico che lo atterrisce: il bianco. Il bianco è l'assenza, tutto ciò che nella sua vita riguarda la privazione e la perdita è bianco. Il rosso invece è il colore dell'amore, della passione, del sangue; rosso è il colore dei capelli di Beatrice. Perché un sogno Leo ce l'ha e si chiama Beatrice, anche se lei ancora non lo sa. Leo ha anche una realtà, più vicina, e, come tutte le presenze vicine, più difficile da vedere: Silvia è la sua realtà affidabile e serena. Quando scopre che Beatrice è ammalata e che la malattia ha a che fare con quel bianco che tanto lo spaventa, Leo dovrà scavare a fondo dentro di sé, sanguinare e rinascere, per capire che i sogni non possono morire e trovare il coraggio di credere in qualcosa di più grande.

Stefano Mordini – Acciaio (2012)

Locandina Acciaio

Un film di Stefano Mordini. Con Michele Riondino, Vittoria Puccini, Anna Bellezza, Matilde Giannini, Francesco Turbanti. Titolo originale Acciaio. Drammatico,  durata 95 min. - Italia 2012.

Anna e Francesca sono due quattordicenni piombinesi. Vivono in quartiere di case popolari i cui abitanti sono in gran parte operai delle acciaierie Lucchini. Anna ha un padre che ha lasciato il lavoro e ora cerca fortuna lontano dalla famiglia. Francesca invece ha un genitore troppo presente che forse abusa di lei. Le due ragazze vivono i primi turbamenti del crescere e, al contempo Anna (attraverso suo fratello Alessio e i suoi amici) sente forte la presenza della fabbrica e delle condizioni di vita che essa sottintende. Finché un giorno in città torna Elena, un tempo compagna di Alessio e ora suo dirigente. Intanto Anna ha conosciuto Mattia che ha diversi anni più di lei. Francesca si chiude ancora di più nel suo dolore.
Tratto dal romanzo omonimo di Silvia Avallone vincitore, tra gli altri, del Premio Campiello Opera Prima e tradotto in 18 lingue Acciaio è un film che ci ricorda la difficoltà del crescere inserendola in un contesto che, fino a poco tempo prima dell'uscita del film, sembrava essere quasi negato nel nostro Paese. Perché la cosiddetta 'classe operaia' sembrava essere uscita non solo dal cerchio degli interessi dei mezzi di comunicazione ma addirittura dalla realtà.
Piombino è una città la cui economia ha da circa un secolo ruotato intorno a quella acciaieria che un tempo si chiamava Ilva (il nome etrusco dell'isola d'Elba) e ora, passata di proprietà, è divenuta Lucchini: Tutto il film rinvia a quel fuoco che tempra il minerale destinato a divenire acciaio. Ma le vite delle persone sono molto più fragili. Si corrodono e si possono anche liquefare (vedi le due figure paterne) di fronte a quel calore. Ciò che riesce a resistere è l'amicizia tra Anna e Francesca che conserva una sua intima purezza che va al di là delle contingenze e che costituisce il cuore pulsante (sul piano narrativo) del film che su di loro concentra la propria attenzione.
Per due non attrici è un peso non da poco che viene sostenuto con una naturalezza che ha in sé tutti i fremiti e le contraddizioni di un'adolescenza che gli adulti spesso non riescono a comprendere.

Il Voto di Pierolupo: 4/5
Boh… tutti bravi gli attori ma alla fine dice poco, sinceramente mi aspettavo di più.

mercoledì 28 agosto 2013

Blackfield - IV

Dettagli prodotto

Tracklist
1. "Pills"   3:35
2. "Springtime"   2:24
3. "XRay" (featuring Vincent Cavanagh) 2:36
4. "Sense of Insanity"   3:24
5. "Firefly" (featuring Brett Anderson) 2:46
6. "The Only Fool is Me" (featuring Jonathan Donahue) 1:54
7. "Jupiter"   3:48
8. "Kissed by the Devil"   3:03
9. "Lost Souls"   2:57
10. "Faking"   3:33
11. "After the Rain"   1:26

Resiste ancora l’anima prog-pop di Steven Wilson attraverso questo nuovo lavoro dei Blackfield. Aviv Geffen ha voluto continuare questo progetto nonostante una presenza più marginale di Wilson (coinvolto solo in due brani e nel missaggio del disco). Geffen ha cercato di allargare gli orizzonti pop, forti già nel precedente Welcome to My DNA. Con X-ray incrocia la strada con il compagno di casa Kscope, Vincent Cavenagh, che con i suoi Anathema sta contribuendo ad abbattere le barriere del prog moderno. Notevole e preziosa la collaborazione con Brett Anderson dei Suede nel brano Firefly che dimostra tutte le potenzialità dei Blackfield. Un vero incanto i brani Pills e Jupiter, dove affiora la voce unica di  Steven Wilson. Questo sound aperto e armonioso dei Blackfield insegna la semplicità e la bellezza che dovrebbe suscitare una canzone pop ben fatta. Negli altri brani del disco Geffen dimostra che dietro la sua regia il progetto Blackfield può ancora scrivere delle belle melodie in bilico tra il pop e l’art-rock ed è giusto che continui a sopravvivere. (LostHighways)

Dusted – Total Dust

Total Dust

Tracklist
1. All Comes Down
2. (Into The) Atmosphere
3. Cut Them Free
4. Low Humming
5. Bruises
6. Pale Light
7. Property Lines
8. Dusted
9. Long It Lasts
10. There Somehow
11. Centuries Of Sleep (cd bonus track)

Se la tendenza generale in fatto di side-project è quella di non discostarsi molto dal sound dell’act madre, Brian Borcherdt non poteva prender maggiori distanze dai suoi Holy Fuck. Se per quest'ultimi si è parlato d'intricati groove elettro-rock, Dusted, tecnicamente un duo con Leon Taheny (producer per Owen Pallet sotto moniker Final Fantasy e batterista nei The Mountains, side-band di Sebastian Grainger dei Death From Above 1979), parla la lingua di un bedroom rock incrostato di fuzz, con toni grunge-ambient episodicamente persino pastorali, il tutto calato in una profonda introspezione lo-fi.
Anticipato dagli scenari di Coyotes, solo EP del 2008, parliamo dunque di suoni slabbrati e liriche pregne di senso di "acceptance" ai confini dell’alt-country, che rifuggono le comunioni ed, anzi, pretendono e mostrano l’isolamento del singolo come unica via per risolvere i problemi personali. Le canzoni di Total Dust riflettono la vita di Borcherdt “on the road” tra location di fortuna (fra cui figura uno studio non riscaldato in Nuova Scozia) e un equipaggiamento spesso in panne: il suono della chitarra (spettrale ed estremamente grezzo) viene da un amplificatore con tubi parzialmente danneggiati; le parti vocali sono state filtrate attraverso un amp portatile che si è rotto durante le registrazioni; le ritmiche ridotte a cimbali, tamburelli, sparsi colpi di grancassa e drum-machine con qualche linea tenue di synth ad aggiungere tensione statica qua e là.
L’insieme suona sgranato, ammantato, a tratti persino indistinto, eppure di grande consistenza emotiva, in subbuglio vitale come un Neil Young lo-fi con vocalità dreamy (Pale Light), od un Youth Lagoon rustico (Bruises), o ancora come un Atlas Sound sgangherato e spigoloso (Into The Atmosfere).
Total Dust è il tipico album la cui forza risiede nell'essenziale taglio wasted-beauty. In coda alla tracklist già senti che la miccia è esaurita ma sarebbe davvero un peccato lasciar scivolare nel dimenticatoio questi 30 minuti da potenziale replay infinito, perfetti nelle mattine d'arrendevolezza da hangover. (SentireAscoltare)

Okay – Huggable Dust

https://myspace.com/okaytheband

Tracklist
1 - My (3:11)
2 - Only (1:27)
3 - Tragedy (4:20)
4 - Nightmare (1:34)
5 - Loveless (1:59)
6 - Peaceful (2:00)
7 - Natural (2:48)
8 - Hot-Wired (1:50)
9 - Simple (3:42)
10 - Panda (4:00)
11 - Bellashakti (1:42)
12 - Beast (3:02)
13 - Poof (1:53)
14 - Truce (7:01)
15 - Pretend (2:57)
16 - Huggable Dust (3:26)
17 - Already (5:08)
18 - Asleep (6:30)

Ma è pop? O forse folk? E quell’elettronica? Magari s’avvicina piuttosto a musica per bambini… Qualcosa di davvero bastardo è Huggable Dust, indefinibile, nonostante i titoli dei brani, singole parole messe come pietre ad identificare le tracce, senza possibilità di fraintendimento.
Qualche dubbio sul fatto che Marty Anderson possa definirsi genio, o piccolo tale, invece viene. Deus ex machina di Okay, Marty sfoggia un’invidiabile poliedricità artistica. Capace di lanciarsi in composizioni di tanto svariata quanto apprezzabile natura. Bisogna anche dire che l’artista californiano sappia davvero ben giocare con i suoni, e si diverta pure parecchio. Huggable Dust ha forma incerta, sembra un trenino colorato da bambino: ogni carrozza una tinta differente; locomotiva gialla, poi vagone verde, rosso, blu e viavia che si rincorrono arrotolandosi… così come i brani che compongono il disco. Vivaci, imprevedibili guazzabugli di note senza troppe carte d’identità e passaporti. E se da una parte ci si diverte e si “esce” soddisfatti dall’ascolto, alla lunga, cosa rimane? Il punto di forza diventa quasi “scredito”, la mancanza di un profilo, di un contorno rende la voce “stregata” di Marty l’unico ricordo da “consegnare ai posteri”. (SentireAscoltare)

Gravenhurst - The Ghost In Daylight

The Ghost In Daylight

Tracklist
01. Circadian
02. The Prize
03. Fitzrovia
04. In Miniature
05. Carousel
06. Islands
07. The Foundry
08. Peacock
09. The Ghost Of Saint Paul
10. Three Fires

http://www.myspace.com/gravenhurst

La quinta fatica del genietto di Bristol si fa attendere cinque anni. Un tempo così ampio portava a immaginare chissà quali novità nel suono di Gravenhurst. Invece "The Ghost In Daylight" è a tutti gli effetti un passo indietro (ma non un passo falso).
L'iniziale "Circadian" sfoggia un riff acustico ripetuto a tempo col ride spazzolato, e rende da subito evidente come Talbot voglia condurre nuovamente l'ascoltatore nelle atmosfere eteree dei primi lavori: "In Miniature" è una sorta di "Scarborough Fair" calata nel disincanto del nuovo millennio, l'inquietante "The Foundry" è invece l'ideale continuazione di "Black Holes In The Sand", con bordoni ambientali che oscurano il suono pulito della chitarra acustica.
Spezza l'album la psichedelica "Islands", con cui Talbot si avventura momentaneamente in territorio trip-hop, mentre i sei minuti del singolo "The Prize" sono un buon riassunto delle varie anime di Gravenhurst (folksinger minimale, ma anche intenso post-rocker).
"The Ghost In Daylight" conferma che Nick Talbot riesce sempre a risultare interessante e poetico, persino nel suo album meno sorprendente. (Ondarock)

Luigi Lo Cascio - La Città Ideale (2012)

Locandina La città ideale

Un film di Luigi Lo Cascio. Con Luigi Lo Cascio, Catrinel Marlon, Luigi Maria Burruano, Massimo Foschi, Alfonso Santagata. Drammatico,  durata 105 min. - Italia 2012

Michele Grassadonia è un ecologista sensibile e integralista. Architetto palermitano, ha lasciato la Sicilia per la Toscana, dove abita quella che lui considera la città ideale, Siena. Inviso ai colleghi, vive solo in un appartamento spartano, dove sperimenta energie alternative. Una sera di pioggia tampona un'ombra e finisce contro un'automobile parcheggiata. Qualche chilometro dopo rinviene il corpo di un uomo riverso sull'asfalto. Chiamati i soccorsi, viene interrogato dalla polizia stradale sull'accaduto. La macchina ammaccata e alcune sfortunate circostanze, convincono gli agenti della colpevolezza del Grassadonia, che da soccorritore diventa indagato. È l'inizio di un'avventura paradossale e di una ricerca angosciata della verità.
Si respira l'aria di impegno civile del cinema di Francesco Rosi e l'indignazione e la tensione morale di Leonardo Sciascia nell'opera prima di Luigi Lo Cascio, attore autore che, alla maniera del personaggio che lo ha reso celebre (il Peppino Impastato di Marco Tullio Giordana), sogna di cambiare il mondo e di renderlo meno ingiusto e più pulito. Per questa ragione scrive e interpreta Michele Grassadonia, un uomo che crede nel valore dell'impegno civico e nella solidarietà sociale. Sempre dimesso, sempre gentile e alla ricerca della parola bella e appropriata, il protagonista viene precipitato in un incubo giudiziario che gli aliena amici e cittadini. Emarginato e diffamato, scoprirà a sue spese che la città ideale nasconde mostri dall'aspetto normale.
Con uno stile secco e asciutto, Lo Cascio svolge un tema robusto, denunciando l'incoscienza civile, le derive giudiziarie, i contratti sociali fondati sulla connivenza, l'indifferenza e la mancanza di pudore. La città ideale, con singolare forza simbolica, mette in schermo il trauma di chi si sente e si vuole 'diverso' rispetto alla cultura diffusa e condivisa da tutti. Lo Cascio individua quel trauma, lo mette a fuoco e poi lo indaga incarnando il suo personaggio, accompagnandolo con lo sguardo dentro la macchina della giustizia e dell'umana (in)comprensione. Posseduto dal proprio demone, l'ecologista Grassadonia coltiva sogni, speranze e illusioni che si spengono, proprio come accadeva ne I cento passi, sul volto di Luigi Maria Burruano, là padre piegato alla legge del più forte, qui (il)legale al servizio della Legge. Lo Cascio è bravo a costruire un film di attori e di sceneggiatura che ha il suo punto debole nelle digressioni, l'affittuaria ideale di Catrinel Marlon e il palafreniere negligente di Roberto Herlitzka. Diversioni che fiaccano, interpretandola, una drammaturgia altrimenti solida. Gli studi sulla cattura nei disegni della fanciulla (am)mirata e la conversazione intorno alla fuga di un cavallo chiosano e svolgono una storia che proprio nella sua imperscrutabilità, nella sua incoerenza e nella sua esasperata ricerca di giustizia e congruenza trovava (non)senso, ragione e originalità.
La città ideale resta tuttavia un debutto importante e maturo che nel dilagare di tanta bruttezza prende le parti della bellezza.

Il Voto di Pierolupo: 4/5
Bravo Lo Cascio, davvero un bel film, come rovinarsi la vita a causa delle proprie convinzioni ecologiche…

Giacomo Campiotti – Bianca Come Il Latte, Rossa Come Il Sangue (2012)

Locandina Bianca come il latte, rossa come il sangue

Un film di Giacomo Campiotti. Con Filippo Scicchitano, Aurora Ruffino, Luca Argentero, Romolo Guerreri, Gaia Weiss. Gabriele Maggio, Flavio Insinna, Cecilia Dazzi, Pasquale Salerno, Roberto Salussoglia, Michele Codognesi. Commedia, durata 102 min. - Italia 2012

Leo ha sedici anni, poca voglia di studiare e tanta di dichiararsi a Beatrice, la ragazza dai capelli rossi che frequenta il suo liceo. Perdutamente innamorato, prova in tutti i modi ad avvicinarla ma ogni volta non sembra mai quella buona. Esitante e maldestro, Leo chiede aiuto all'amico Niko e all'amica Silvia, invaghita di lui dalle medie e da una gita a Venezia. Inciampato dentro a un cinema e a un passo da lei, il ragazzo riesce finalmente a strapparle la promessa di rivedersi presto a scuola ma in aula Beatrice non tornerà più perché la leucemia le ha avvelenato il sangue e compromesso il futuro. Sconvolto ma risoluto, Leo decide di prendersi cura di lei e di accompagnarla nella malattia, allacciando con Beatrice una tenera amicizia che contemplerà il buio e la luce. Tra una partita di calcetto e un brutto voto da riparare, Leo imparerà la vita, la morte e l'amore.
Non è la prima volta che Giacomo Campiotti gira un film carico di morte che parla della vita. Otto anni fa con Mai + come prima aveva trattato la perdita corredandola a un periodo dell'esistenza qual è l'adolescenza, piena di novità e trasformazione. Allo stesso modo Bianca come il latte, rossa come il sangue è un percorso di formazione che affronta la crescita attraverso la morte. Al centro del film, trasposizione del romanzo omonimo di Alessandro d'Avenia, un adolescente che vede il mondo bianco e rosso, incosciente delle sfumature. Bianca è la paura della responsabilità da scansare e scaricare sui genitori e i professori, rosso è il desiderio di essere visto (e amato) come Charlie Brown dalla ragazza dai capelli rossi.
Alla maniera della Beatrice dantesca, di cui porta il nome e la grazia, la protagonista muove Leo a una vita nuova. Beatrice è iter a Deum, cammino verso dio, corsa (a perdifiato) verso 'fin'. Perché dio non è morto come canta Guccini o 'corregge' il T9, software di scrittura facilitata per sms che converte dio in 'fin'. Se è a dio che si affida Beatrice attraverso un diario, è a fin che rivolge le sue preghiere Leo chiedendo più tempo per quell'amore sbocciato tra attivismo e passività, tra energia senza sosta e inerzia, tra impazienza e timore di cambiare, tra la smania di prendere in mano la propria vita e l'inquietudine di diventare più visibili e ingombranti.
Bianca come il latte, rossa come il sangue ribadisce la sensibilità di Campiotti per l'adolescenza intesa come periodo di lutto, perché include un sentimento di vivo dolore per la fine dell'infanzia e del senso d'identità riparato e narcisistico. Ma a Leo spetterà in sorte un dolore più grande di quello di vedere scomparire il bambino che era prima. La sua ribellione passerà per la morte di Beatrice e approderà a un'immagine nuova di sé, a un'identità e a un corpo altri, in un mondo finalmente policromo. Leo farà esperienza della finitudine e frequenterà il dolore trasformandolo in amore dentro un film semplice come sanno essere le storie vere, quelle che nascono dall'urgenza dell'autenticità. Adolescenza, lutto, solidarietà che muove il desiderio comune di guarigione non trovano però nella messa in scena una commisurata corrispondenza, sfumando nella convenzionalità la sensibilità e la spontaneità che annunciavano.
Bianca come il latte, rossa come il sangue finisce per arrendersi agli schematismi di una narrazione dal respiro irrimediabilmente corto e prevedibile, che 'sentenzia' attraverso le battute del professor Luca Argentero e della paziente Gaia Weiss. Su tutto e tutti i picchi emotivi governano dispotiche le note dei Modà. Ridondanti e 'in levare' suturano il film, riempiendo insostenibilmente ogni fotogramma, eccedendo il bel sorriso di Filippo Scicchitano e gravando l'irriducibile leggerezza dell'adolescenza.

Il Voto Di Pierolupo: 3/5
La storia sarebbe anche bella ma che attori cani… Troppo scontato, Argentero professore piacione, mi ha un po’ fatto incazzare

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...