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Ricerca personalizzata

lunedì 23 aprile 2012

Mirca Viola - L’amore Fa Male

Locandina L'amore fa male

Un film di Mirca Viola. Con Stefania Rocca, Nicole Grimaudo, Paolo Briguglia, Diane Fleri, Claudio Bigagli, Stefano Dionisi, Giovanni Corrado, Gianmarco Pozzesco, Tobias Helmreich, Andre Watson, Nicholas Gallo, Federica Candelise, David Coco, Anna Luisa Capasa. Drammatico, durata 100 min. - Italia 2011.

Germana ha quarant’anni, una figlia e il sogno mai infranto di essere attrice. Amante annoiata e mantenuta di un avvocato ricco e coniugato, incontra Gianmarco in una corsia d’ospedale e se ne innamora perdutamente. Corrisposta con altrettanta passione da Gianmarco, ignora che l’uomo sia padre e marito e amico di vecchia data di Elisabetta, una rigida vicina di casa abbandonata dal marito e decisa a rifarsi una vita. Dentro un’estate siciliana e davanti a una tavola imbandita si incroceranno e risolveranno i loro destini.
Opera prima di Mirca Viola, L’amore fa male è una commedia sentimentale con implicazioni omosessuali e complicazioni (extra)coniugali. Indeciso fino alla fine se farsi dramma o mantenersi ottimista, il film punta il cuore come Cupido e prova ad osservarne i movimenti in quasi due ore di incontri incrociati e di vite a una svolta. In un vicolo cieco. Lo stesso infilato da un esordio debole, dove la costruzione narrativa è indiscutibilmente televisiva. Non tanto perché ogni scena ricaverà scolasticamente senso da almeno un’altra che la richiama e non soltanto perché ogni pezzo narrativo finirà prevedibilmente al suo posto, ma soprattutto per quel vizio tutto italiano di riassorbire la tragedia al cinema, di perdonare i suoi mediocri personaggi, incalliti traditori affannati a riparare il peccato con la confessione e a ricominciare da capo in seno alla famiglia. La sacra famiglia a cui importa poco capire ma tanto perdonare. Eppure Mirca Viola tenta l’intentato nel prodotto medio nazionale: mettere in scena uomini e donne senza qualità, individui della media e piccola borghesia che sembrano soccombere alla loro stessa mediocrità e al loro squallore morale, prima che materiale, dentro interni domestici, ménage stanchi, psicodrammi familiari, incomprensioni, rancori affogati nel sesso e nel letto di un amante occasionale o di uno abituale, sfruttato per denaro e trattenuto per noia. Ma l’idea non trova il linguaggio. A mancare troppo presto è il coraggio di spingere sul pedale della corruzione emotiva, decidendo più comodamente e senza rischi per l’illuminazione spirituale, le rassicuranti alchimie e la dittatura linguistica della forma-commedia. Il mal d’amore diventa così un corpo estraneo da sopprimere perché intollerabile e smisurato per il controllato cinema italiano. Che ancora una volta lascia che il soggetto (melo)drammatico scivoli sui territori più innocui del patetismo e del sentimentale.

Il voto di Pierolupo: 2/5
Ma si può fare un film più mal recitato? Poverissimo nei contenuti, lento e banale. Anche la Rocca che in genere recita non male qui fa la figura della deficiente. Non perdete tempo, sconsigliato vivamente.

venerdì 20 aprile 2012

George Clooney – Le Idi Di Marzo

Locandina Le Idi di marzo

Un film di George Clooney. Con Ryan Gosling, George Clooney, Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Marisa Tomei,
Evan Rachel Wood, Max Minghella, Jeffrey Wright. Titolo originale The Ides of March. Drammatico, durata 101 min. - USA 2011.

Stephen Meyers è il giovane guru della comunicazione nella campagna per le primarie presidenziali del Partito Democratico negli Stati Uniti di un molto prossimo futuro. Il candidato che sostiene, sotto la supervisione del più anziano Paul Zara, è il governatore Mike Morris. Morris parte svantaggiato ma ha dalla sua l’appeal di un richiamo ai più profondi valori della Costituzione americana visti sotto una luce contemporanea e accattivante. Stephen avrà modo di scoprire progressivamente che Morris, che pensava fosse sufficientemente coerente con gli ideali professati, ha un lato oscuro.
Viviamo davvero in tempi poco raccomandabili se anche George Clooney, progressista doc, lancia l’allarme nei confronti dei meccanismi di una democrazia che procedono grazie all’olio della corruzione e del ricatto. È un romanzo di formazione quello che ci viene proposto sotto le spoglie del thriller politico (dei cui sviluppi è bene sapere il meno possibile prima della visione) e quella formazione coincide con il degrado. Il fatto che Clooney, ispirandosi a un testo teatrale di Beau Willimon, si muova all’interno del campo democratico mostra come sia animato dal desiderio della messa in guardia. Non è una novità per il cinema americano scoperchiare le malefatte del potere, ovunque esso eserciti il suo perverso fascino. Che però questo avvenga in piena era Obama deve preoccuparci ancor più direttamente. Clooney non è diventato un qualunquista di basso livello pronto ad affermare “i politici sono tutti uguali”. Si muove su un piano più elevato e perciò molto più significativo. Attraverso il mutamento (anche di espressioni) dell’efficace Ryan Gosling sembra volerci ricordare come la democrazia stia sempre più trasformandosi in una parola che si è svuotata del significato originario per includere invece opportunismi e compromessi da cui nessuno è esente. I rapporti tra esseri umani finiscono con il dissolversi facendo sì che le parole stesse perdano totalmente il loro valore.
Clooney non risparmia neanche il mondo dei media, grazie al personaggio affidato a una Marisa Tomei in grado di mostrare come il ruolo della giornalista che si occupa di politica sia al contempo quello di cacciatore e preda. I pugnali delle Idi di marzo possono anche uccidere ma, soprattutto, sono in grado di infliggere ferite che sembrano apparentemente rimarginarsi mentre in realtà danno inizio a un processo di putrefazione delle coscienze che rischia di coinvolgerci tutti.

Il voto di Pierolupo: 4/5
Splendido film, Gosling eccezionale con la sua solita faccia di gomma, bravissimo anche Hoffman. Un duro apologo su potere, ambizione e lealtà a conferma di un dato del quale, in Italia, siamo ormai già ben consapevoli, e cioè che la politica è un trojaio in cui il più sano esponente ha già contratto la rogna.

giovedì 19 aprile 2012

Mr. Gnome – Madness In Miniature

Madness In Miniature

Meno si è meglio si sta, c'è del valore vero nel selezionare le persone di cui ci si circonda perchè la qualità è sempre vincente rispetto alla quantità. Non è quindi un caso se molte delle proposte musicali più interessanti e originali degli ultimi anni (White Stripes e Middle Class Rut tanto per citarne due) siano frutto del lavoro di band minimali, composte di soli 2 elementi. Nicole Barille, cantante e chitarrista e Sam Meister, batterista e tastierista, sono i mr. Gnome, un duo americano che scorrazza con ispirata libertà nell'universo indie, tra folk e pop, hard rock, punk e post-rock e quant'altro vi venga in mente. La totale noncuranza delle regole non scritte della musica, la verve creativa, l'indifferenza rispetto a qualsiasi barriera è un elemento che rende Madness in Miniature, il terzo album dei mr Gnome, un lavoro straordinario, ricchissimo di idee e stimoli.
Bisogna anche dire che i mr Gnome non sono buoni per tutti, serve un buon allenamento all'ascolto per apprezzare la qualità del loro fare musica (questo è solo un avviso per i lettori più distratti....che peraltro dubito leggano una recensione dei mr Gnome). Ma se amate il rock e la versatilità intelligente, non fine a sè stessa, scoprirete un gruppo eccellente: annoiarsi con Madness in Miniature è impossibile e la voce di Nicole Barille una continua scoperta per la notevole varietà espressiva. Consigliatissimo! (MantaRay)

Tracklist
01 – Ate the Sun
02 – Awake
03 – House of Circles
04 – Run For Cover
05 – Bit of Tongue
06 – Fly Me Over
07 – We Sing Electric
08 – Winter
09 – Wolf Girls
10 – Outsiders
11 – Watch the City Sail Away
12 – Capsize

http://www.myspace.com/mrgnome

lunedì 16 aprile 2012

David Nicholls – Un Giorno (2010)

Un giorno

È l'ultimo giorno di università, e per due ragazzi sta finendo un'epoca. Emma e Dexter sono a letto insieme, nudi. Lui è alto, scuro di carnagione, bello, ricco. Lei ha i capelli rossi, fa di tutto per vestirsi male, adora le questioni di principio e i grandi ideali. Si sono appena laureati, l'indomani lasceranno l'università. È il 15 luglio 1988, e per la prima volta Emma e Dexter si amano e si dicono addio. Lui è destinato a una vita di viaggi, divertimenti, ricchezza, sempre consapevole dei suoi privilegi, delle sue possibilità economiche e sociali. Ad attendere Emma è invece un ristorante messicano nei quartieri nord di Londra, nachos e birra, una costante insicurezza fatta di pochi soldi e sogni irraggiungibili. Ma per loro il 15 luglio rimarrà sempre una data speciale. Ovunque si trovino, in qualunque cosa siano occupati, la scintilla di quella notte d'estate tornerà a brillare. Dove sarà Dexter, cosa starà combinando Emma? Per venti anni si terranno in contatto, e per un giorno saranno ancora assieme. Perché quando Emma e Dexter sono di nuovo vicini, quando chiacchierano e si corteggiano, raccontandosi i loro amori, i successi e i fallimenti, solo allora scoprono di sentirsi bene, di sentirsi migliori. Comico, intelligente, malinconico, Un giorno cattura l'energia sentimentale delle grandi passioni: i cuori spezzati, l'intricato corso dell'amore e dell'amicizia, il coraggio, le attese e le delusioni di chiunque abbia desiderato una persona che non può avere.

Lui è Dexter Mayhew, bello, ricco e irriverente. È il prototipo di una nuova razza di homo britannicus: metropolitano, per nulla imbarazzato dalla propria mascolinità, dalla libidine, dalla predilezione per le macchine sportive, i grossi orologi in titanio e i braccialetti da truzzo. Se non avesse il sorriso più luminoso e sfrontato del mondo sarebbe un insopportabile uomo di successo. Ma Dex è molte altre cose, prima di essere un presentatore televisivo di programmi giovanilistici con un finto accento cockney, Dex è un romantico, adorabile, imbecille.
Emma Morley sa di non essere una bellezza, malgrado l’opinione di molti suoi amici. Ha lasciato il suo paesino in periferia per studiare a Edimburgo, dove ha preso una laurea in Lettere e drammaturgia e un dottorato in pedagogia con il massimo dei voti. Ha una mente brillante e una raffica di risposte sagaci buone per ogni occasione, ma questo non le impedisce di rovinarsi l’umore lavorando in un ristorante messicano sei giorni su sette e dividendo l’appartamento, un bugigattolo senza finestre, con la famigerata Tilly Killick, usa a lasciare i suoi enormi reggiseni a mollo nel lavandino della cucina.
Dex pensa che in fondo Emma lo faccia apposta a vivere male, perché la malinconia aiuta la sua creatività e le fa comporre poesie, sonetti, pièce teatrali, romanzi gialli e d’appendice, sceneggiature televisive, sempre più pregnanti e intelligenti. In realtà Emma è solo parzialmente “sfigata”, nei momenti di buona si sente invece come la protagonista di un romanzo di Muriel Spark: indipendente, sveglia, intellettuale, intimamente romantica.
Il loro amore inizia e finisce in un giorno, il 15 luglio 1988, su un letto a una piazza di Edimburgo, dove passano tutto il giorno dopo la laurea a parlare e coccolarsi. Lei, guardando la pelle di lui abbranzata e lucida in controluce, ha pensato subito a un aggettivo: “fascinoso”; lui, quando lei si è alzata per andare in bagno ha pensato che tutto, nella sua stanza, ostenta un punto di vista imprescindibile, come un manifesto. Aveva conosciuto moltissime ragazze come lei, belle e individualiste, ma nessuna di loro gli aveva mai dato l’impressione di esserne seccata, e soprattutto nessuna di loro aveva mai osato sbattergli in faccia la pura verità. Quello, aveva pensato Dexter alla fine, era un amore troppo difficile per due ragazzi di vent’anni, così lo aveva lasciato sfumare tra chiacchiere e vino. Poi era arrivato il lavoro a Londra di Emma e i viaggi intorno al mondo di Dexter; i successi e le delusioni; improbabili ragazze presentate a genitori borghesi e uomini impacciati conosciuti in posti surreali, le prime pastiglie di ecstasy e i litri di vodka all’arancia. Lui era finito a lavorare in tv, lei aveva avuto un posto da insegnante. A parte quel giorno ormai lontano, potevano considerarsi amici.
Il 15 luglio di ogni anno il giorno di St. Swithin (una ricorrenza che in Gran Bretagna è legata a un proverbio sul tempo) le vite di Dex ed Em in qualche modo si incrociano. Può capitare di vedersi per cena e raccontarsi le miserie e le conquiste dell'anno passato, oppure di ritrovarsi su un traghetto che punta a un’isola del Mar Egeo. Possono litigare, rincorrersi, lasciare un messaggio a una stupida segreteria telefonica, fino a diventare adulti. Ogni volta, per un istante, si spingono a pensare: “potrebbe essere la persona giusta”, ma poi ricacciano il pensiero in fondo al cuore, perché Dex ed Em sono troppo innamorati per deludersi.
Usando l’espediente del racconto di un singolo giorno dell’anno, David Nicholls scrive un romanzo che ha tutti gli ingredienti della commedia brillante alla Nick Hornby e sceglie due grandi protagonisti decadenti, terribilmente reali, di cui si inizia a sentire la mancanza appena girata l’ultima, commovente, pagina.

Lone Scherfig – One Day

Locandina One Day

Un film di Lone Scherfig. Con Anne Hathaway, Jim Sturgess, Patricia Clarkson, Ken Stott, Rafe Spalll, Amanda Fairbank-Hynes, Jamie Sives, Matthew Beard, Natalie Hallam, Filippo Delaunay, Thomas Arnold, Gino Picciano, Seelan Gunaseelan, Catherine Laine, Tom Mison, Josephine de la Baume, Heida Reed, Romola Garai, Georgia King, Jodie Whittaker. Commedia rosa, Ratings: Kids+13, durata 107 min. - USA 2011.

Edimburgo. Emma e Dexter si laureano il 15 luglio 1988 e trascorrono la notte nello stesso letto. Da allora seguiremo la loro vita fino al 2006 fotografandone l'evoluzione sempre lo stesso giorno di ogni anno. Emma è un'idealista entusiasta ma al contempo riflessiva, capace di lavorare come cameriera in un ristorante messicano se questo diventa necessario. Dexter è ricco di famiglia, seducente e con la voglia di sfondare nel mondo della comunicazione. Riuscirà a condurre un programma televisivo anche se questo non servirà a placare le tensioni che ha dentro. I due continueranno a cercarsi, anno dopo anno, sia che si trovino nello stesso luogo sia che siano lontani l'uno dall'altra.
L'annosa questione (destinata a non risolversi) del rapporto cinema/letteratura si complica ulteriormente quando lo sceneggiatore è l'autore del romanzo a cui il film si rifà. Perché David Nicholls, che ha scritto il fortunato best seller pubblicato nel 2009, è anche colui che ha steso lo script di questo film diretto da Lone Scherfig la quale, anche quando aveva come suo punto di riferimento il Dogma di Von Trier (Italiano per principianti), sapeva come mostrare la propria originalità. In questa occasione il rapporto diretto con l'autore/sceneggiatore avrebbe potuto frenarla. Anche perché, e qui torniamo al tema di cui sopra, il pubblico a cui riferirsi era chiaramente (sin dall'inizio del progetto) da dividere in due blocchi. Chi ha letto ed apprezzato il libro non può fare a meno di notare che le prime 90 pagine vengono condensate in 16 minuti di film con inevitabili decurtamenti di senso e di atmosfere. Chi invece non lo conosce o lo ha ancora intonso sullo scaffale della libreria di casa potrà finalmente apprezzare una commedia romantico/drammatica credibile e non piegata forzatamente agli stereotipi imposti da Hollywood. Hathaway e Sturgess sono credibili nei loro andirivieni nei labirinti di un sentimento che vorrebbe essere di amicizia e di amore al contempo. Amicizia per poter continuare a vivere anche se lontani. Amore per il desiderio/bisogno di una contiguità, di una vicinanza pur nella profonda diversità di scelte e di stili di vita.
La scelta di percorrere le loro vicende non è in nulla debitrice al Bernard Slade di "Tra un anno alla stessa ora" (là i protagonisti si rivedevano all'appuntamento prefissato, qui siamo noi a coglierli mentre esercitano il mestiere di vivere ovunque e con chiunque si trovino). Semmai è a Dickens che bisogna rifarsi come Nicholls nel libro quando cita questo passo da "Grandi speranze": "Per me fu un giorno memorabile, perché mi cambiò molto: Ma in ogni vita succede lo stesso. Immaginiamo un giorno a scelta isolato dal contesto e pensiamo a come sarebbe stato differente il corso della vita. Fermati, lettore, e rifletti a lungo sulla lunga catena di vil metallo o oro, spine o fiori, che non ti avrebbe mai legato, se non fosse stato per la formazione di quel primo anello in quel giorno memorabile." Anche perché è bene sapere che il 15 luglio nel mondo anglosassone si festeggia San Swithin e la tradizione popolare vuole che le condizioni del tempo di quella particolare giornata si protrarranno per quaranta giorni a venire. Quanti di noi vorrebbero (o avrebbero voluto) che accadesse lo stesso nella loro vita sentimentale? Che è invece quanto di più imprevedibile ci possa accadere. Questo film sa come ricordarcelo.

Il voto di Pierolupo: 4/5
Che bello questo film… e che delusione quella fine inaspettata… Mi ha totalmente spiazzato, sono rimasto a bocca aperta. E la Hathaway è davvero brava e carina.

giovedì 12 aprile 2012

Mr. Gnome - Heave Yer Skeleton

Heave Your Skeleton

E' certamente valsa la pena, per questo duo di Cleveland, di rispondere con prontezza all'invito di Josh Homme di registrare il proprio second album nei suoi Pink Duck Studios, a Los Angeles. Col senno di poi, pare che sia capitata loro un'insperata fortuna: come se a vincere la lotteria fosse, per un bizzarro scherzo del Fato, un aborigeno papuano. Infatti di questa opportunità non sanno fare di meglio che usarla per gonfiare di anabolizzanti il proprio sound (al tempo stesso ripulito per benino come l'argenteria a Natale), che, si immagina, vorrebbe essere di oscure suggestioni stregonesche.
Infatti i Mr. Gnome paiono tentare una rivisitazione muscolare, sconfinante nello psych-rock e nel prog-metal, del trip-hop, avvolgendolo attorno a estemporanei incubi adolescenziali da Halloween di provincia, coniglietti zombie e spose cadavere. L'esecuzione e l'assoluta pochezza compositiva dei Nostri, che applicano all'incirca lo stesso sviluppo a tutti i pezzi di "Heave Your Skeleton", trasporta in un incubo sì, ma per i propri organi uditivi, tra sospensioni annacquate e schitarrate malefiche.
In questo marasma confuso e rozzo, il lavoro del batterista Sam Meister è encomiabile per come cerca di aggiungere profondità agli sgraziati accordi della compagna d'avventure Nicole Barille, che si produce ora in sussurri à-la Gibbons ora in urlacci convulsi ma insipidi, almeno quanto gli "Oh!" di complemento ("Cleveland Polka").
Cosa abbia spinto Josh Homme a mandare al massacro la giovane coppia dei Mr. Gnome rimane insomma un mistero. Poco, davvero poco si intravede sotto la cortina di rabbia liceale e artigianato sciatto che paiono costituire le uniche ragion d'essere di "Heave Yer Skeleton": lavoro adatto più a un party a tema per ragazzi che a una collezione musicale. (Ondarock)

Tracklist
1. Spain
2. Hills, Valleys and Valium
3. Slow Side
4. Plastic Shadow
5. Sit Up & Hum
6. Titor
7. Vampires
8. Cleveland Polka
9. Pixie Dust
10. Today Brings a Bomb
11. Searider
12. Heave Yer Skeleton

http://www.myspace.com/mrgnome

Massimo Venier – Il Giorno In Più

Locandina Il giorno in più

Un film di Massimo Venier. Con Fabio Volo, Isabella Ragonese, Camilla Filippi, Roberto Citran, Pietro Ragusa, Luciana Littizzetto, Lino Toffolo, Stefania Sandrelli, Jack Perry, Valeria Bilello, Stella Pecollo, Paolo Bessegato, Roberta Rovelli, Anna Stante, Irene Ferri, Micaela Murero, Daniela Dimuro, Nick Nicolosi, Franco Ghibaudi, Hassani Shapi. Commedia, - Italia 2011.

Giacomo Pasetti ha quarant'anni, molte donne e poca voglia di impegnarsi. Single a Milano è lasciato malamente dalla fidanzata di turno che sognava un amore maturo e le chiavi di casa. Abile osservatore del prossimo ha sempre la battuta pronta e una donna di riserva per scaldarsi le notti. Intorno a lui, madre, amici e colleghi provano a responsabilizzarlo, descrivendogli le gioie del matrimonio e della paternità. Ma niente sembra davvero emozionarlo tranne forse quella ragazza sconosciuta che ogni mattina incontra in tram e da cui proprio non gli riesce di staccare gli occhi. Turbato dalla sua grazia racconta a tutti di essersi finalmente innamorato e legato a una giovane donna di nome Agnese, quietando per qualche tempo il desiderio di chi lo voleva accasato. Una mattina però l'ideale Agnese lo inviterà a scendere dal tram per un caffè rivelandogli di chiamarsi Michela e di essere in partenza per New York. Dopo una cena e un primo lungo bacio, Giacomo la raggiungerà a sorpresa negli States per convincerla e convincersi che forse davvero l'amore 'è una cosa meravigliosa'.
Non è la prima volta che Fabio Volo presta volto e ‘anima' a un protagonista rampante, infedele e persuaso di avere il mondo in mano almeno fino a quando non scopre di essere malato (Uno su due), non viene scoperto con un'amante (Bianco e nero), non si scopre innamorato. Nella Milano di Massimo Venier, dove il regista ha diretto la leggerezza ironica di Aldo, Giovanni e Giacomo, il personaggio di Fabio Volo è di nuovo un uomo solo, chiuso in un egoismo prodotto dall'autoaffermazione e da un'eccessiva vocazione alla menzogna. Giacomo Pasetti mente, non dice la verità o la dice solo in parte. Non necessariamente per malafede ma perché non ha idee chiare sui suoi programmi esistenziali e sul modo più giusto di affrontare la vita. Venditore (di fumo) nato, pratica la ‘comunicazione efficace', indovina quello che gli altri vogliono tacere e raggiunge immancabilmente l'obiettivo, sorvolando la vita di chi lo ama, passando oltre il prossimo e trascurando chi è condannato (Silvia) o perdente (Dante).
A farlo ‘deragliare' dai binari della pochezza, convertendolo all'amore, proprio come in un romanzo rosa, sarà la scettica Michela di Isabella Ragonese, che ha letto i ‘classici' e non crede nel lieto fine, almeno da questa parte dell'oceano. Perché in America il film di Venier perde il pessimismo e guadagna in euforia e cliché, ‘parafrasando' le convenzioni della commedia americana, dove il lenzuolo arriva all'altezza delle spalle e uno dei due amanti si imbarca verso una meta troppo lontana, dove avviene sempre un litigio e un'incomprensione di troppo fa girare i tacchi a lei e lascia in silenzio lui, dove ancora una folata di vento trova sempre un messaggero romantico, una riconciliazione e un happy end.
Trasposizione del romanzo omonimo di Fabio Volo, che nel 2007 raggiunse a colpi di aforismi il milione di copie vendute, Il giorno in più piacerà a chi piace ‘ritrovarsi' e identificarsi. Magari proprio con quel personaggio convinto e sicuro di sé che ha solo desideri e mai progetti. Un uomo che ha (ancora) paura di crescere e schiva gli impegni che limitano il suo sfrenato solipsismo, che ha Stefania Sandrelli come mamma, Hassani Shapi come consigliere, Luciana Littizzetto come collega, che è un inguaribile narciso e scopre un attimo prima dei titoli di coda che è la normalità la vera rivoluzione. Se Venier taglia e ‘affina' il qualunquismo letterario di Volo, legando in maniera efficace l'intreccio sviluppato tra Milano e New York, Il giorno in più resta una commedia conformista che non scontenterà nessuno, secondo un ecumenismo elementare che scioglie tutti i nodi e mette a posto tutte le tessere del puzzle.
Un film chiuso in se stesso e nel ‘Fabio Volo mondo' come in una sorta di autarchia linguistica e tematica che non lascia filtrare tracce di mondi altri. Un film assolutorio che celebra la ‘leggibilità’ come qualità e infila un dialogo increscioso intorno agli ebrei, ai nazisti e al gas venefico.

Il voto di Pierolupo: 3/5
Le pecche di questo film sono il regista e gli attori, Volo e la Ragonese, che non vanno da nessuna parte e non riescono a dare la minima emozione. Un film abbastanza improbabile, con tante scene improbabili, storia di un uomo bugiardo e mascalzone. Per la cronaca non mi sono addormentato, ma...

mercoledì 11 aprile 2012

Manu Chao – …Proxima Estacion… Experanza

Proxima Estacion: Esperanza

Ancora suoni e parole dal mondo, a cura di uno che se ne intende. L'ex cantante dei Mano Negra, nel suo continuo peregrinare tra Sudamerica, Europa e Nordafrica, ci indica una di quelle stazioni dove vale la pena scendere, sempre. Divenuto ormai quasi un leader politico in molte realtà Centro e Sud Americane, rischiando svariate volte l'arresto per i suoi concerti improvvisati fra la folla, Manu ci ripropone la sua miscela fatta di reggae/ska filtrata da una leggerezza e da una non troppo latente malinconia prettamente latina. Il risultato non si discosta molto dal precedente e fortunatissimo "Clandestino", presentando un sound unitario e fresco, dove le tracce sono continuamente legate tra loro da un bridge sonoro, dando spesso l'impressione (errata) di scaturire da una stessa, unica idea. Certo, "Esperanza" potrebbe essere tacciato di ricalcare vecchi schemi, ma io credo che il percorso artistico di Manu debba essere messo sullo stesso piano del suo impegno sociale, della sua vita spesa veramente "on the road" che ha formato e forma quotidianamente la sensibilità di questo piccolo Che Guevara della musica. Manu Chao è questo, prendere o lasciare. Per quanto ci riguarda, optiamo per il primo verbo. Così ci lasciamo trasportare dal tormentone del primo singolo "Me gustas tu" (Manu prova ad elencarci tutto ciò che gli piace, la canzone è una delle più lunghe del disco…) e dal sequel di "Bongo bong", la dichiarazione d'amore verso Bob Marley, "Mr Bobby" appunto. Proprio "Bongo bong" ci viene servita con un altro titolo, "Homens", diventando una sorta di rap portoghese/portunol. Decisamente irresistibili sono "Promiscuity" (uno ska che è una vera comica, velocissimo e scombinato), "Papito" (una stramba filastrocca sottolineata da fiati di una banda sicuramente ubriaca o "in viaggio") e "La vacaloca" (il titolo parla già da solo).
Coadiuvato da una nuova band chiamata Radio Bemba, una specie di ensemble aperto dove i musicisti vanno e vengono, Manu Chao ci fa ballare e divertire con la sua innata leggerezza e ci fa pensare attraverso le sue piccole grandi denunce. Soprattutto ci fa riflettere la sua personalità, il suo modo di interagire con "l'altro", la capacità di trascinare con coscienza. Un grande artista, una bellissima persona. (Kalporz)

Tracklist
1 - Merry blues
2 - Bixo
3 - Eldorado 1997
4 - Promiscuity
5 - La primavera
6 - Me gustas tu
7 - Denia
8 - Mi vida
9 - Trapped by love
10 - Le rendez vous
11 - Mr Bobby
12 - Papito
13 - La chinita
14 - La marea
15 - Homens
16 - La vacaloca
17 - Infinita tristeza

http://www.myspace.com/manuchao

Manu Chao – Clandestino

Album d'esordio per l'ex cantante dei Mano Negra; un'uscita che in un primo momento sembra passare inosservata e che invece un silenzioso tam tam trasforma giorno dopo giorno in un fenomeno da classifiche internazionali. Forse anche la voglia del grande pubblico di musica latina ha contribuito a questa ascesa, premiando sia l'aspetto commerciale incarnato dai vari spaventosi Ricky Martin e Iglesias jr., sia il lato qualitativo impersonato dallo stesso Manu, da Jarabe De Palo (altro ripescato attraverso una sua canzone vecchia di qualche anno, "La flaca"), dagli stessi Buena Vista Social Club, gli incredibili super abuelos cubani.
In verità, "Clandestino" è un lavoro che va molto al di là dei ristretti limiti dei generi; certamente il mood complessivo riflette una latinità esplosiva, però internazionalizzata attraverso interpretazioni in diverse lingue (spagnolo, naturalmente, ma anche francese, portoghese ed un esilarante inglese in "Bongo bong", hit dell'album insieme alla title track). Credo che il grande merito di Manu Chao sia quello di aver capito quanto il mondo sia un grande melting pot, pieno di contaminazioni e di sangue bastardo; i linguaggi da lui usati sono il presente ed il futuro del pianeta (purtroppo non è presente l'italiano…) dove ognuno di noi si dovrà confrontare con le più svariate diversità, imparando la fatale parolina: tolleranza. E' ottimo presagio il fatto che il grande pubblico abbia premiato questo figlio di spagnoli, cresciuto a Parigi, individuando nel suo affascinante crossover la determinazione di agire su tante coscienze un po’ precarie. (Kalporz)

Tracklist
1. Clandestino
2. Desaparecido
3. Bongo bong
4. Je ne t'aime plus
5. Mentira…
6. Lagrimas de oro
7. Mama call
8. Luna y sol
9. Por el suelo
10. Welcome to Tijuana
11. Dia luna…dia pena
12. Malegria
13. La vie a 2
14. Minha galera
15. La despedida
16. El viento

http://www.myspace.com/manuchao

e la serie continuerebbe, c’è un pezzo che non sia la fine del mondo in questo disco?

Velure - Care For Fading Embers

Care for Fading Embers

Velure is an Australian band. They combine, in these two delicious releases, Care for Fading Embers and Songbox EP, all sorts of styles, verging not just on the trip-hop, but also on d'n'b, IDM, even pop-rock, etc. Although it sounds like you're in for another cold super-experimental band that is considered trip-hop only by Villeroy (ha, ha, ha), it's not exactly the truth. Especially Care for Fading Embers (dedicated to their producer, who died before the release of the album) is rather melancholic and warm. I am very tired at this hour and I haven't listened to them in a while, so I will let you imagine how a typical fancy review from me would sound like…

Tracklist
1. Music from Outside (3:56)
2. Do You Suppose? (4:09)
3. Words to Speak (4:52)
4. Hide the Fool (4:05)
5. Down Again (4:08)
6. Define Love (4:50)
7. Beautiful (4:26)
8. Recall (5:56)
9. Vivid and Blue (4:21)
10. Music from Outside (A Reprise) (3:17)

http://www.myspace.com/velure

domenica 8 aprile 2012

Ilya – Fathoms Deep

L'album inizia con un valzer, poi alterna tra delicati brani jazzati in stile lounge, altri più blues, alcuni movimentati da salse ed altri ritmi latini, pur non discostandosi troppo da una chiave pop romantica e leggermente barocca. Il gruppo inglese, attivo dal 2004, sembra fare dell'intrattenimento raffinato suo obiettivo primario e lo fa con classe e sobrietà. La cantante Joanna Swan potrebbe figurare nel novero delle grandi interpreti del passato. Un album destinato a non stancare...

Tracklist:
1 Port Erin Fair 4:25
2 Lean Down 4:15
3 On Vauxhall Bridge 5:43
4 Little Lamb 6:10
5 Hollow 5:00
6 Falcondale 5:53
7 I Fall 4:24
8 All I Got 5:50
9 In The Spring 5:22
10 20 Fathoms Deep 5:16

http://www.myspace.com/ilya

The Magnetic North - Orkney Symphony Of The Magnetic North

Orkney: Symphony of the Magnetic North

Well, would you? In January 2011, it’s the spark that led Orcadian singer-songwriter Erland Cooper to group together his Erland & The Carnival band mate Simon Tong and singer/orchestral arranger Hannah Peel (of last year’s solo ‘The Broken Wave’ album) to form a new group, The Magnetic North, with a distinct purpose: the recording of ‘Orkney: Symphony Of The Magnetic North’, a new album due for a 7th May release on Full Time Hobby.

Tracklist
1. Stromness
2. Bay Of Skaill
3. Hi Life
4. Betty Corrigall
5. Warbeth
6. Rackwick
7. Old Man Of Hoy
8. Nethertons Teeth
9. Ward Hill
10. The Black Craig
11. Orphir
12. Yesnaby

http://www.myspace.com/themagneticnorthmusic

venerdì 6 aprile 2012

Tindersticks - The Something Rain

The Something Rain

Se la bellezza seguisse la traiettoria predefinita di un canone fisso, l'umana morbosità ne sarebbe ben presto annoiata e delusa. Incorniciare l'emotività è un oltraggio al suo flusso mutevole, una gabbia posticcia, un agire subdolo e pretenzioso. Se l'intento è quello di arredare l'aria, l'equivoco è sempre in agguato; non è certo semplice mettere a fuoco l'essenza, tra le maglie dell'intangibile.
L'arte sobria e defilata dei Tindersticks, umbratile, nello scorrere del suo magma, figlia di un vertiginoso connubio tra sensorialità e cerebralità, motore propulsore di magnetismo per taluni, di facile sbadiglio per altri, elitaria per sua stessa natura, prescinde dalla crisi passata, nel bel mezzo di un ventennale percorso, e interpreta il nono episodio di una carriera ritrovata.
La canadese Constellation accoglie nel suo regno lunare "The Something Rain", terzo disco dopo la reunion del 2008 con "The Hungry Saw" e il successivo, meno ispirato "Falling Down A Mountain" del 2010, mentre, nel 2011, è uscita una raccolta contenente tutte le colonne sonore con le quali i Tindersticks hanno impreziosito, nel corso degli anni, il cinema della francese Claire Denis, "Claire Denis Film Scores  1996-2009".
C'è anzitutto da dire che, come sempre, il sole, nella dimora elegantemente decadente dei Tindersticks, non penetra mai con insolente violenza, filtrato, invece, dalle fessure e temperato dalla penombra. Ma questa volta l'oscillare tra notte e giorno cede il passo ad un'intensa a-temporalità emozionale, nella quale la tentazione di fluttuare è assolutamente equidistante, benché le apparenze, dal banale concetto di "musica da sottofondo".
Come rinnovata abitudine della band, l'album si apre con l'intro spoken "Chocolate", che, per poco più di nove, avvolgenti minuti, riprende "My Sister", traccia contenuta in "Tindersticks II", il post-esordio del 1995. Introdotto da un coro soul, il baritono di Staples entra con la solita, infinita, ammaliante grazia, in "Show Me Everything", traccia che, dall'essenzialità strumentale dell'incipit, va progressivamente aprendosi agli altri strumenti, assecondando la mutevolezza del mood staplesiano, sempre più dolcemente deciso nel suo declamare "show me everything".
Canzone d'amore e d'ombra, sofferta tensione tra eros e thanatos, è "Medicine", anelito ricamato dal violino fragile, che richiama alla memoria l'immagine di un Leonard Cohen più direttamente coinvolto nello spasmo d'amore.
"This Fire of Autumn", folk elettronico, incede come danza moderatamente sincopata di foglie agonizzanti, in una dialettica palpitante ed elegantemente tesa, e la tentazione dell'elettronica torna in "Frozen", vortex sonoro à-la Portishead, alveare oscuro in cui perdersi seguendo la traccia della voce di uno Staples meravigliosamente su di giri.  
C'è spazio anche per le ballate: dal solipsismo desolato e sussurrato di "A Night to Still", al languore sensuale di "Come Inside", una sorta di più pacificata "My Oblivion", in un pop orchestrale nel quale il crooner torna a giocare tutte le sue armi di seduzioni, rendendo vana qualsiasi possibilità d'opporgli resistenza.
"Slippin' Shoes", con il suo impianto da rumba mitteleuropea, interrompe momentaneamente l'umbratilità che, come dna poetico della band, pervade l'intero album, con una sezione di fiati solare e intrigante.
La chiusura è uno strumentale, delicato, cinematico canto delle sirene d'aria à-la Dirty Three ("Goodbye Joe").
L'album, registrato tra il maggio 2010 e l'agosto 2011, nasce da un'istanza, speciale, come recano le note compilate dallo stesso Stuart Staples: "At the albums heart lies the memory of the people we have lost in these last 2 years, but we were in no mood to be maudlin. It's to them. But it's for us. We are still drinking, laughing, crying, fighting, fucking, making our music.
They wouldn't have wanted it any other way".
La perdita, lo smarrimento, l'amore, la morte tornano a indossare uno degli abiti più dignitosi ed eleganti, nella storia del pop d'autore degli ultimi vent'anni, e il concetto di esistenza riprende fiato, per svelarsi in tutto il suo fascino e la sua inquietudine. (Ondarock)

Tracklist
1.Chocolate
2.Show Me Everything
3.This Fire Of Autumn
4.A Night So Still
5.Slippin' Shoes
6.Medicine
7.Frozen
8.Come Inside
9.Goodbye Joe

http://www.myspace.com/tindersticksofficial

The Twilight Sad - No One Can Ever Know

No One Can Ever Know

Inseriti frettolosamente dentro il calderone emul-rock (termine usato a sproposito dalla critica e spregevole almeno quanto il sound sciapo di tante band formato NME che non hanno nulla di originale per davvero…) gli scozzesissimi Twilight Sad si sono dimostrati abili nell’elaborare un songwriting superiore e un sound maturo e intensissimo, capace di smarcarsi con grande maestria dai più ovvi derivativismi, frutto di un mix tra i più riusciti degli ultimi anni tra stoica eleganza e ruvida spontaneità, tra ossature post-punk, alcune aperture di post-rock tumultuoso e mai banali sporcature shoegaze.
Con il terzo album in studio la band ora ridotta a un trio (dopo la dipartita del bassista Craig Orzel avvenuta nel 2010) ha abbandonato quasi del tutto l’approccio basato sulle chitarre indossando una veste sonora molto diversa rispetto al passato, incentrato su movenze quasi meccaniche e sull’utilizzo di linee e tappeti minimalisti di freddissimi synth analogici e ispirata, a detta del chitarrista stesso della band, Andy McFarlane, ai lavori di vecchie band come Cabaret Voltaire, Public Image Ltd., Can e Magazine e altre più moderne come Liars e Autechre, mentre le primissime recensioni hanno tirato fuori i nomi di Manic Street Preachers e Nine Inch Nails.
I più maliziosi vedranno dei parallelismi con la “svolta” degli Editors di qualche stagione fa, ma i Twilight Sad sono una band più raffinata e arcigna. Non si parla dunque di mero retromodernismo synth-analogico, qua non c’è semplicemente una vecchia tastiera rispolverata per dare quel tocco hipsteroide in più. Qua si tratta spesso di tracce taglienti e realmente addolorate, nessun dark-pop barocco à la White Lies, niente pose à la (con tutto il rispetto per la prima fase della loro carriera) Interpol, ma solo una implicita storia di paure e ossessioni, tra ingranaggi congelati, cieli metallici e ectoplasmi vintage minacciati da barbagli di visioni futuristiche.
Non si può poi non sottolineare la prestazione al microfono di James Graham, cantante praticamente mai incensato e apparentemente dimesso, in realtà capace, grazie al suo timbro elegante e caldo che però non disdegna qualche linea vocale più urlata e lievemente più sporca, di offrire interpretazioni di grande emotività e spessore.
A parte le più convenzionali “Don’t Move” e soprattutto il primo singolo “Another Bed”, pregne di tipici sapori da wave fredda, ci troviamo tra le mani a rischio di geloni tracce di sublime criogenizzata beltà come le più rarefatte “Nil” e “Not Sleeping”, addentate da rugginosi clangori elettronici e immerse in atmosfere di grande spessore emotivo, vedi anche i testi tanto malinconici quanto direi intrisi di dichiarazioni sinistre al limite del paranoico. Se poi da un lato abbiamo la dolcezza aliena di una “Sick” (e qui sono stati tirati in ballo i Radiohead) dall’altro abbiamo l’incubo industriale di “Kill It In The Morning”, che poi sfocia in una cavalcata epica come non si sentiva da tempo in cui svettano eroiche scie di sintetizzatori.
Rimarrà comunque un disco per pochi cultori questo “No One Can Ever Know”. Apparentemente trendy eppure invece molto chiuso in se stesso, pesante e scomodo. Ma si sa che abbiamo sempre tifato per gli underdogs del rock.
Ci sono poi due chicche da aggiungere alla tracklist di base, cioè la bonus track di iTunes “A Million Ignorants”, una strumentale di evocativa mestizia che approfondisce ulteriormente la malinconica visione esistenziale dei TS, e il brano forse più pop e leggiardo tra tutti quelli incisi ultimamente dagli scozzesi ossia “Tell Me When We’re Having Fun”, presente nella versione scaricabile dell’album fornita da eMusic. (Indieforbunnies)

Tracklist
1. Alphabet
2. Dad City
3. Sick
4. Don’t Move
5. Nil
6. Don’t Look at Me
7. Not Sleeping
8. Another Bed
9. Kill it in the Morning

http://www.myspace.com/thetwilightsad

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