Un film di Michele Soavi. Con Alessio Boni, Isabella Ferrari, Michele Placido, Carlo Cecchi, Alina Nedelea, Michele Soavi, Lorenzo Favella. Azione, durata 107 min. - Italia 2006.
Giorgio è un terrorista di sinistra condannato all'ergastolo e rifugiato in un avamposto guerrigliero nel Centro America. Nel 1989, col crollo del muro di Berlino e successive smobilitazioni, Giorgio decide di rientrare in Italia ma soltanto per tornare ad essere un uomo normale. Consegnatosi alla polizia italiana, come da copione e su suggerimento del vice questore della Digos, Anedda, l'ex-terrorista "canta", rivelando i tanti nomi dei suoi vecchi compagni. Scontata una pena minima in carcere, il Codice Penale prevede cinque anni di buona condotta per ottenere la riabilitazione e Giorgio la vuole ad ogni costo e con ogni mezzo. La strada verso la reintegrazione sociale abbatterà vite colpevoli e innocenti. Giorgio non ripara, non risarcisce, non si pone interrogativi morali e i suoi delitti restano senza castigo.
L'ultimo film di Michele Soavi è tratto dal romanzo di Massimo Carlotto e senza mezzi termini racconta la parte peggiore della generazione giovane degli e negli anni '70. La visione del regista dei famigerati anni di piombo è tutt'altro che romantica e ribellistica, la lotta armata e i suoi crimini sono storia vera. Di quella peggio gioventù, Soavi sceglie il peggio: un'idealista senza una forte connotazione ideologica che confluisce nell'organizzazione terrorista quasi a sfogare una spontanea inclinazione al crimine. L'ex terrorista, interpretato in maniera convincente da Alessio Boni, è credibilmente e definitivamente cattivo. Il suo personaggio, contrappasso del Matteo Carati arruolato in polizia ne La Meglio Gioventù, non ha sfumature, non ha cedimenti, non ha redenzione. Giorgio acquista, perché la paga, la riabilitazione e il codice fiscale, ribadendo la sua aggressività e riconfermando la vocazione alla prevaricazione. Il finale crudele, ambientato nel nord-est di un'Italia mai così cruda e nera, non rassicura lo spettatore ma resta addosso come la canzone di Caterina Caselli, magnifica ma privata da Soavi della connotazione leggera. Perché anche lo spettatore dovrà morire "un po' per poter vivere".
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