Maria, la nonna di Mario Calabresi, andava a letto esausta, dopo una giornata spesa a lavare montagne di lenzuola e pannolini. Quella sera, quella in cui per la prima volta aveva usato la lavatrice, è stata, nei suoi ricordi, lo spartiacque tra il prima e il dopo. Calabresi ha ricomposto i frammenti di un tempo in cui si faceva fatica a vivere ma era sempre accesa una speranza, e di un presente così paralizzato da non riuscire a mettere a fuoco l'esempio di chi non ha smesso di credere nel futuro. Ed ecco un viaggio nel vissuto del nostro Paese attraverso le storie di chi - scienziati, artisti, imprenditori, giornalisti e persone comuni - è stato capace di inseguire i propri sogni, affrontando a testa alta le sfide collettive e individuali del mondo di oggi. C'è chi è riuscito a offrire una speranza per i malati incurabili, chi è diventato un prestigioso astronomo e spera ancora di vedere l'uomo su Marte, chi ha trasformato la sua tesi di laurea in un'azienda californiana di successo, e chi ha deciso di cambiare il proprio destino giocando l'unica carta a sua disposizione, lo studio. Per intuire che in mezzo allo sconforto diffuso la strada esiste, perché coltivando le proprie passioni non si rimane delusi e perché la libertà si conquista, anche, con la volontà. Per scoprire un giacimento di vita, energia e coraggio, un luogo in cui "le stelle si sono accese per guidare il cammino degli uomini, la loro fantasia, i loro sogni, per insegnarci a non tenere la testa bassa, nemmeno quando è buio".
"Non c’è più il futuro di una volta".
Il lapsus è un segno dei tempi, a volte.
Dallo sgambetto che l’inconscio tende al senso comune, può emergere un sentire diffuso, una sottile inquietudine, un modo di pensare che – grazie a quell’inciampo involontario – diventa immediatamente lampante e ci mette di fronte al nostro stesso modo di leggere il reale.
Il libro di Mario Calabresi, Cosa tiene accese le stelle, è un esorcismo contro la vulgata secondo la quale “si stava meglio quando si stava peggio”, per citare un altro ossimoro di successo. Attraverso le conversazioni con uomini eccellenti, e attingendo ad un ricco serbatoio di memorie personali, il direttore de “La Stampa” presenta alcuni buoni motivi per non lasciarsi prendere dallo sconforto, e riconoscere invece, alla luce di un cauto ottimismo, quanto siano migliorate le vite degli italiani negli ultimi cinquant’anni.
È vero: la mortalità infantile è crollata al punto da far ritenere a molti analisti stranieri che l’Italia è oggi “il posto più sicuro al mondo dove mettere al mondo un bambino”. L'assistenza sanitaria è garantita per tutti. Molta meno gente muore sulle strade. Ci sono meno omicidi, e vengono commessi complessivamente meno crimini di sangue.
Le malattie – è un fatto - vengono curate in modo molto più mirato ed efficace di un tempo. Viviamo tutti, o quasi tutti, in appartamenti adeguati alle nostre necessità, dotati di servizi sanitari e allacciati alla rete elettrica. Siamo un paese alfabetizzato e facciamo sicuramente molta meno fatica di quanta non ne facessero i nostri padri e le nostre madri, e prima di loro le generazioni precedenti, abituate a conquistare ogni millimetro del proprio benessere a costo di fatica e sacrifici. Un quadro edificante? In parte sì, ma attenzione: la progressione ad infinitum della curva del nostro benessere ha segnato un’inversione, negli ultimi vent’anni, e i giovani non investono più nel proprio futuro perché sono attanagliati da uno scoramento profondo, da una rassegnazione che si trasmette endemicamente, o per via ereditaria. Sono i padri stessi a mettere le mani avanti, ci spiega Calabresi, inducendo i propri figli a non credere troppo nelle proprie possibilità, per evitare la delusione che inevitabilmente seguirà, quando i giovani dovranno misurarsi con la realtà di un Paese che ha smesso di credere in loro.
Il giornalista, però, non si limita a puntare l’indice contro i mali che affliggono il nostro presente, e – come Diogene – va "alla ricerca dell’uomo", per tracciare una mappa minima di personalità luminose cui rivolgersi nei momenti bui.
Assieme a lui incontriamo dunque l’oncologo Veronesi, appassionato sponsor dei giovani, che non ha paura di dire come i ragazzi di oggi valgano quanto (e forse più) dei giovani dei suoi tempi. Poi c’è Massimo Moratti, che attraverso il filtro del tifo calcistico stabilisce un paragone fra i giorni nostri e quel novembre 1949 in cui suo padre lo portò per la prima volta a vedere giocare l’Inter a San Siro: i tifosi non sono diventati più violenti, sostiene Moratti; quel che davvero è cambiato è la velocità dell’informazione. Oggi sappiamo tutto di tutti, immediatamente, e questo ha cambiato la percezione del mondo in modo radicale. Franca Valeri dispensa qualche meravigliosa pillola della sua intelligenza indomita e del suo umorismo agrodolce, raccontando dell'epoca in cui la villeggiatura era una vera e propria "altra vita" che si svolgeva da giugno a settembre, ma riconoscendo come sia importantissimo il fatto che oggi siano molte più persone a poter godere delle ferie, seppure per periodi più brevi.
E ancora: docenti universitari, astrofisici, cantanti, studentesse eccezionali e persone normali: tutti concorrono a comporre un mosaico speranzoso e in divenire del tempo in cui viviamo. Contro ogni irragionevole resa a priori, e nel segno della "capacità che ha ogni individuo di fare la differenza", per dirla assieme a Jovanotti.
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