I bambini fanno domande. A volte imbarazzanti, stravaganti, definitive. Vogliono sapere perché nasciamo, dove andiamo dopo la morte, perché esiste il dolore, cos'è la felicità. E gli adulti sono costretti a trovare delle risposte. È un esercizio tra la filosofia e il candore, che ci obbliga a rivedere ogni volta il nostro rassicurante sistema di valori. Perché non possiamo deluderli. Né ingannarli. Siamo stati come loro non troppo tempo fa. Dell'invecchiare, dell'essere fragili, inadeguati, perfino del morire parliamo ormai di nascosto. Ai bambini è negata l'esperienza della fine. La caducità, la sofferenza, la sconfitta sono fonte di frustrazione e di vergogna. L'estetica dell'eterna giovinezza costringe molte donne nella prigione del corpo perfetto e le inchioda dentro un presente mortifero, incapace di darci consolazione, perfino felicità. In questa intensa, sorprendentemente gioiosa inchiesta narrativa, Concita De Gregorio ci chiede di seguirla proprio in questi luoghi rimossi dal discorso contemporaneo. Funerali e malattie, insuccessi e sconfitte, se osservati e vissuti con dignità e condivisione, diventano occasioni imperdibili di crescita, di allegria, di pienezza. Perché se non c'è peggior angoscia della solitudine e del silenzio, non c'è miglior sollievo che attraversare il dolore e trasformarlo In forza.
La morte fa parte della vita. Merita di essere “vissuta”, accettata. Compresa e non compressa. Concita De Gregorio, giornalista e scrittrice, firma storica de "La Repubblica", dove attualmente lavora, dopo un’esperienza di 3 anni da direttore de "L’Unità", nel suo ultimo libro, Così è la vita, pubblicato da Einaudi, risponde alla Grande Domanda dei “piccoli”. I bambini fanno domande, a volte imbarazzanti, spiazzanti. Domande che esigono una risposta “Grande”.
In una società che mette quasi al rogo la vecchiaia e la morte, che nega il tempo che scorre, anzi lo esclude dal discorso pubblico, come se l’Eden fosse vivere in un etereo presente eterno, trovare risposte appare frustrante. “Nel nostro tempo si è proibito il tema della morte come nel secolo scorso quello del sesso. La contingenza, la finitezza, la fragilità, la sofferenza e la morte – come la sconfitta, come ogni tipo di perdita – non fanno parte del quadro mentale dell’uomo occidentale. Sono avvenimenti secondari, estranei. Sono diventati temi proibiti, difficili”. Sono gli stessi adulti ad avere paura di trattare queste argomentazioni. I genitori e gli stessi insegnanti si sottraggono da una responsabilità individuale e collettiva, come se fossero stati colti impreparati, non avendo studiato la lezione.
La luce nell’ombra del film Departures ne è un esempio palese. Una storia radicata nei riti, elegante, remota. Un soggetto che inibisce: un annuncio per un impiego "di aiuto alla partenza" che si rivela definitivo e non turistico. “In Giappone tutti avevano paura del soggetto. Una volta finito il film – spiega il regista Yojiro Takita – abbiamo dovuto aspettare tredici mesi per trovare il distributore e non sono pochi”. La prima proiezione è avvenuta in una sala da quindici persone, “lo volevano nascondere”. E invece, dopo poco tempo, è arrivato l’Oscar, la Multisala, Internet, “il mondo intero”. Perché “serve molta immaginazione per capire la realtà” e non chirurgia estetica massificata che “prima di seminare un certo gusto ha seminato, massicciamente, disgusto”.
Invecchiare e morire sono un diritto, concesso il primo non a tutti, il secondo ripartito democraticamente, senza clientelismi. Cancellare i segni del tempo sul viso, sul corpo può dare l’impressione di arrestare il tempo, metterlo in Pause, ma se non c’è più tempo, “questo sparisce non solo dalla faccia ma anche dall’anima, e con esso anche il senso interno della responsabilità dei propri gesti”. Insegna Concita De Gregorio che in un mondo di precariato esistenziale occorre educare alla responsabilità individuale, occorre recuperarla e incentivarla su un piano etico e non estetico. La bellezza di piccoli dettagli, di minuscoli, quasi insignificanti gesti racchiude la veridicità del vivere. Come l’incontro di una vecchia amica in treno, la lettura di un libro ai bambini, la visione di un film e di un videogame.
Partendo dal recupero di quello che si è rimosso, ma che è ancora in noi, ci si può riavvicinare alla vita stessa. Persino esorcizzando il decadimento delle cose, il saluto finale di una persona cara si può trarre insegnamento, si può ridere nel pianto, si può bere ad una sorgente di luce nel buio di un addio.
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