Esiste un fiume sotterraneo che ci scorre accanto, ma che non vediamo. È questa corrente, ora limpida, ora limacciosa, che dai bar di corso Buenos Aires a Milano può portare una diciassettenne come Ruby Rubacuori, la ragazza che non aveva niente, nella villa di Silvio Berlusconi, l'uomo che aveva tutto. E poi un'orda barbarica di ragazze disponibili, che ballano nude per lui nel rito del bunga bunga. Tra ristoranti e grandi alberghi, discoteche e ville, si sviluppa una storia che fa spesso esclamare: "Impossibile!". Eppure, Ilda Boccassini, il magistrato che ha messo paura a Cosa nostra e alla 'ndrangheta calabrese, ha indagato insieme con i colleghi su una vicenda che ha dell'incredibile. Ed è emerso davanti ai suoi occhi un universo inedito: tra bonifici bancari e gioielli costosi in regalo, tra case gratis e spogliarelli, i meccanismi del mondo della prostituzione e dello show business vengono documentati, registrati, filmati. Nell'avvincente narrazione di un grande cronista, scorrono le voci e le testimonianze, le analisi tecniche della polizia e le "soffiate" e, come in ogni giallo che si rispetti, "la caccia" dei detective ci pone di fronte a qualche domanda più importante: con i soldi si riesce davvero a comprare tutto, compresa una vita sessuale che la natura ti ha tolto? Oppure, qualche volta, il Destino decide che è arrivato il momento di dire basta? Berlusconi e Ruby, visti come mai prima d'ora, ci raccontano il lato oscuro del potere all'italiana.
La storia – ormai lo sappiamo – ha il vizio di ripetersi: la prima volta si presenta come tragedia, e la seconda come farsa.
Ma raramente – bisognerebbe aggiungere – la farsa riesce a strappare alla platea una risata liberatoria. Molto spesso invece proietta, ingigantendola, un’ombra sinistra su fatti già accaduti, che nel loro perpetuo riproporsi rinnovano ad lib la commedia mediocre del potere.
Quando nel luglio del 2010 in Corso Buenos Aires, a Milano, scoppia una rissa fra due ragazze, già coinquiline, per una storia di soldi rubati, nessuno fra coloro che vi assistono può immaginare che stia aprendosi il sipario su una farsa che resterà a lungo in cartellone e che, dietro alle battute ormai proverbiali pronunciate dai suoi protagonisti, si agitano tutti gli ingredienti del più micidiale e indigesto cocktail mediatico che si possa immaginare.
È la storia di Ruby, minorenne di origine marocchina in fuga dalla famiglia e dalle comunità, che mentre è trattenuta in questura per accertamenti, comincia a parlare. La ragazza millanta conoscenze altolocate, frequentazioni prestigiosissime, protezioni potenti. Sostiene addirittura di essere una lontana parente dell’allora Presidente egiziano Mubarak. Ruby vuota il sacco, e da quel momento si mette in moto una catena di eventi che trascinerà il dibattito politico italiano, già in affanno, in una discarica.
Ma questa è anche – e soprattutto - la storia di una classe dirigente per cui la politica è ancella dei privilegi cui dà diritto.
Colaprico, scrittore e cronista di nera, giornalista di grande mestiere che ha seguito passo dopo passo gli sviluppi delle inchieste milanesi sulla ‘ndrangheta negli anni ottanta e novanta, decide di mettere penna e istinto al servizio del caso più scottante degli ultimi anni, quello che vede il Presidente del Consiglio indagato per prostituzione minorile.
Ed è proprio la cronaca a tenere banco, nei primissimi capitoli, con un incedere che rende bene il passaggio progressivo dall’incredulità provata dai poliziotti che redigono il verbale (“Sì, come no? Mubarak, Silvio…”) alla consapevolezza che il racconto di Ruby è la punta di un iceberg gigantesco, sul quale di lì a poco farà naufragio l’immagine pubblica di Berlusconi. Ma quel che il libro di Colaprico aggiunge al quadro - già brutalmente chiaro - di quel che è successo prima, durante e dopo “le cene eleganti” a Villa San Martino, è anche una testimonianza per dare il giusto rilievo al lavoro svolto dalla Polizia della Questura di Milano e dai magistrati inquirenti, che hanno messo il dito in una piaga dolorosa e privata: quella dell’adolescenza e dell’infanzia di una ragazza dalla vicenda difficile, complicata, che ha dovuto imparare prestissimo e sulla sua pelle qual è l’unico modo per “campare la vita”, per dirla con le sue parole.
Storia unica e peculiare, certo, come quella di chiunque: ma anche storia esemplare e termometro di una cultura diffusa e radicata fra molte sue coetanee. E via, allora, con l’amarissima farsa: ecco sfilare le maschere di una corte di lenoni e procacciatori di favori; gli innominabili e potenti attorno ai quali gira tutto il sistema; le ragazze cresciute nel culto dell’apparire come unico viatico a vite degne di essere vissute, e le loro colpevoli famiglie. Difficile distinguere un episodio che condensi meglio degli altri il clima da basso impero, ma particolarmente agghiacciante è il passaggio in cui il fratello di una delle ragazze coinvolte nell’inchiesta fornisce supporto psicologico alla sorella – che lo mette a parte dei suoi dubbi sull’opportunità di prendere ancora parte a quelle "serate mondane" – per convincerla a continuare, così da ottenere più benefici per l’intera famiglia.
Ma a emergere con la più grande evidenza è l’istantanea di un popolo assopito e incapace di reagire con sdegno all’arroganza dei suoi rappresentanti, e il disegno di un Paese diventato l’ideale terreno di coltura per questa giostra degradante e meschina.
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