L'esordio edged experimental del demo tape "Fuse" (1988) è lontano non soltanto in termini temporali; l'incontro con i Cure (nel momento di massima espansione commerciale di costoro) ha indiscutibilmente segnato in profondità l'impronta strutturale delle songs di Alison e Jim Shaw, ma anche "Forever" e il successivo "Remix" sono lontani.
Ceduto definitivamente lo scettro di "successori dei Cure" a quanto pare ai Placebo, (per ammissione dello stesso Smith), i Cranes tornano, dopo un buon album neo-indie come "Future Songs" fatto di canzoni atmosferiche e glaciali e voce calda al punto giusto, più strutturato e concettualmente integrato come tutti i loro lavori del precedente "Population 4" dando alla luce un album che ancora una volta svela le qualità liriche e compositive di Ali e Jim Shaw, nonchè la loro lungimiranza: compreso che lo State of the Art del pop ha il baricentro spostato da Miranda Sex Garden/Cocteau Twins verso l'elettronica nordica di Sigur Ros et al, e consapevoli del medesimo background dream pop, i Cranes firmano con "Particles And Waves" un album perfettamente in linea con l'impronta minimalista suggerita dal titolo; ancora un album concept di impronta scientifica (analogamente a "Self-Non-Self") come sempre sospesi tra electro e dream pop, in questo caso rinunciano alla maestosità di pezzi come "Future Song" o "Paris And Rome" e all'influsso soft drum'n'bass di "Don't Wake Me Up" e lasciano che la potenza del suono ceda il terreno alla delicatezza elegante e alla levità dell'impasto suono-voce.
Emblematica "Vanishing Point" in cui sembra quasi di sentire i Garbage alle prese con un arrangiamento electro-glitch alla Mum di "Weeping Rock Rock" spezzato in due momenti, spaziale ed effettato (si sentono nella prima parte suoni ambient registrati en plain air) o nelle sonorità siderali di "Particles And Waves" e "Astronauts". "Here Comes The Snow" riporta alle aperture orchestrali tipiche del trio di Portsmouth, batteria metronomica e alienante, chitarre in apparenza rilassate, ma in realtà contorte e dark-waved creano un sound che gradualmente diviene clangore post-indstriale ma confinato sempre sullo sfondo, all'estremo opposto "K76" tocca il vertice etereo e sognante, regalandoci forse il gioiellino pop di questa raccolta.
In conclusione, un concept sull'infinitamente piccolo intriso di riferimenti all'arte e alla letteratura (la cover e l'intero artwork sono ispirati allo "Snowflake" di Von Cock) nonchè un piccolo (quasi) gioiello di ethereal pop.
Non siamo in Islanda e le gru si stagliano ancora (e meno male) all'orizzonte di Portsmouth a ricordare la presenza dell'industrializzazione: attorno all'usuale fulcro consistente nello stridente paradosso tra neo-classicismo bucolico e avantgart alla Young Gods, Bad Seeds e Neubauten si sviluppa anche il sesto album del miglior gruppo albionico di space pop etereo. (DeBaser)
Tracklist
1. Vanishing Point
2. K56
3. Every Town
4. Here Comes the Snow
5. Particles & Waves
6. Avenue A
7. Astronauts
8. Far From the City
9. Streams
10. Light Song
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