"Non è che tutti gli anni possono ammazzare qualcuno per farvi passare il tempo", sbotta disperato Massimo il barrista. Ma è impossibile sottrarsi al nuovo intrigo in cui stanno per trascinarlo i quattro vecchietti del BarLume: nonno Ampelio, il Rimediotti, il Del Tacca del Comune, Aldo il ristoratore. Dalla vendita sottoprezzo di una villa lussuosa, i pensionati, investigatori per amor di maldicenza, sono arrivati a dedurre l'omicidio del vecchio proprietario, morto, ufficialmente, di un male rapido e inesorabile. Massimo il barrista, ormai in balìa dei vecchietti che stanno abbarbicati tutto il giorno al tavolino sotto l'olmo del suo bar nel paese immaginario e tipico di Pineta, al solito controvoglia trasforma quel fiume di malignità e di battute in una indagine. Il suo lavoro d'intelletto investigativo si risolve grazie a un'intuizione che permette di ristrutturare le informazioni, durante un noioso ricovero ospedaliero: proprio come avviene nei classici del giallo deduttivo. E a questo genere apparterrebbero, data la meccanica dell'intreccio, i romanzi del BarLume, se non fosse per le convincenti innovazioni che vi aggiunge Marco Malvaldi. La situazione comica dei quattro temibili vecchietti che sprecano allegramente le giornate tra battute diatribe e calunnie, le quali fanno da base informativa e controcanto farsesco al mistero. La feroce satira che scioglie nell'acido ogni perbenismo ideologico. La rappresentazione, umoristica e aderente insieme, della realtà della provincia italiana...
Dopo la felice digressione ottocentesca di Odore di chiuso, Malvaldi scende da Roccapendente, teatro delle vicende che in quel libro vedevano Pellegrino Artusi alle prese con un delitto, e torna al languore balneare e un po’ indolente di Pineta, luogo di finzione che chiunque abbia letto un romanzo di Malvaldi sente di conoscere come fosse reale.
“Balneare” e “Indolente” sono aggettivi che scadono come un litro di latte lasciato fuori dal frigo in agosto, però, quando fra i profumi di resina e le schiume decorate sopra ai cappuccini si comincia a sentir puzza di bruciato: una morte di vent’anni prima, archiviata come naturale, si ripropone fra i tavoli del BarLume, simile ad una brioche stantìa che torni su a far sentire un saporaccio molte ore dopo che l’abbiamo trangugiata senza il minimo sospetto.
Gli investigatori: Ampelio, Aldo il ristoratore, Il Rimediotti e il Del Tacca del Comune. Questi quattro ineffabili gourmet di semolino stanno sulla pagina con la disinvolta allure di un A-Team di ottuagenari, pronti ad ogni piè sospinto a rivendicare il loro diritto a mangiare – ché mangiare gli garba parecchio – a “giocà” a carte e fumare qualche sigaretta: arrivati al punto in cui sono arrivati, l’invulnerabilità è a un passo, anche quando si è alti come una damigiana e si pesa quanto un canterale.
A fare da contrappunto al loro incessante borbottìo, che sparge fiele sulle cose del mondo facendoci nel contempo ammazzare dalle risate, c’è Massimo, che ha da poco cambiato casa, ha divorziato, ha perso la sua banconista preferita, Tiziana, e ha una vicina di casa (soprannominata “Il gorgonoide”) che frigge dalla mattina alla sera alimenti non meglio precisati in oli non meglio precisati, impestando l’aria e guastando al nostro barrista l’umore mattutino.
Massimo farebbe volentieri a meno di cacciare il naso in una storia vecchia di vent’anni, e della quale non è affatto convinto. Ma il caso ci mette lo zampino, e un’inarrestabile catena di eventi scalda i motori per mettersi in moto come un diesel: lenta ed inesorabile.
Il vecchio Carratori, proprietario di una villa venduta in nuda proprietà e decisamente sottoprezzo, è morto nel giro di poche settimane dopo aver concluso quella transazione, apparentemente a causa di un tumore velocissimo e dall’esito inappellabile.
Ma allora perché la sua morte, riletta alla distanza assieme alle conseguenze che ha generato, assume contorni tanto ambigui e farraginosi? Ampelio & Co. non hanno dubbi: c’è lo zampino di qualcuno, dietro quella vicenda.
A mettere la ciliegina sulla torta al curaro che i quattro vecchietti stanno cucinando per Massimo, ci penserà un incidente, banale ma dalle conseguenze nefaste: il barrista mette un piede in fallo, inciampa in una radice e si rompe il legamento crociato, vedendosi così costretto ad una lunga convalescenza nello stesso ospedale in cui il Carratori spirò. E allora, in mancanza di libri gialli con i quali alleviare un po’ della noia che pervade le stanze, a cosa si può dedicare la fertile, tonica immaginazione di un barrista dalla mente svelta a trarre conclusioni quanto il braccio lo è a servire i caffè?
La carta più alta riesce in una di quelle alchimie cui il chimico Malvaldi ci ha abituati: imbastendo un intreccio godibile e ben strutturato che viaggia in parallelo alla splendida caratterizzazione dei personaggi e ai loro esilaranti dialoghi.
Si ride, ci si immedesima e si vuol bene a Massimo e ai suoi fantastici quattro, mentre già pregustiamo un prossimo episodio: ma in questo resteremo probabilmente delusi, perché Malvaldi ha dichiarato che La carta più alta sarà l’ultimo romanzo del ciclo dedicato al Barlume di Pineta.
Nessun commento:
Posta un commento