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venerdì 24 febbraio 2012

Real Debrid

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martedì 21 febbraio 2012

Vitali Andrea - Parola di cadavere (2011)

cop[4]

Un padre, l'Anemio Agrati, che ha dedicato la vita a un'insana passione. Un figlio silenzioso che porta con sé questa bizzarria come uno stemma di famiglia. Conosciuto in paese come "il Cadavere", lo si incontra solo al cimitero in riva al lago, nella ricorrenza dei defunti, avvolto da ombre e penombre. Una storia inedita, delicata e grottesca, un paese fuori dal tempo in cui episodi curiosi e personaggi irresistibili ci conducono a scoprire le mille facce della realtà. Nei suoi romanzi Andrea Vitali racconta l'Italia più vera, immobile e frenetica, dove dietro la commedia si nasconde la tragedia, e dietro la tragedia il melodramma e la farsa.

sabato 18 febbraio 2012

Blaudzun – Heavy Flowers

Heavy Flowers

"The difficult third album", recitava ironicamente una didascalia sulla copertina del capolavoro di Billy Bragg "Talking With The Taxman About Poetry", a testimonianza di come la pubblicazione del terzo disco sia il momento cruciale in cui l'ascoltatore si interroga definitivamente sulla maturità artistica del musicista e sull'effettiva validità della sua proposta.
Ed è con la consapevolezza di questa premessa che il qui presente John Sigmond, in arte Blaudzun, giunge alla fatidica prova della verità, forte di un paio di album accolti in maniera entusiastica nella natìa Olanda e ben recensiti anche dalle nostre parti nell'attesa, appunto, della consacrazione definitiva.
Va subito detto che, da un punto di vista prettamente formale, "Heavy Flowers" è certamente un disco confezionato a regola d'arte. Il patto artista/ascoltatore, con quest'ultimo conscio di poter trovare tutti gli ingredienti basilari per un album di cantautorato folk-pop del 2012, è fedelmente rispettato: chitarre acustiche, archi, mandolino, pianoforte, fisarmonica e voce languida e lamentosa si incastrano, come da copione, in arrangiamenti minimalisti che creano il contesto in cui Blaudzun può coccolare la sua tormentata anima di profeta apocalittico.
"Ogni cosa a suo posto", avrebbero cantato i Radiohead un decina d'anni or sono, ma non appena ci si domandasse le caratteristiche appena citate siano sufficienti per rendere un album un'esperienza appagante, ecco che sorgono i problemi. La scrittura, innanzitutto. Perché le pur riuscite parti strumentali appaiono purtroppo fini a sé stesse, soprattutto quando le linee melodiche di brani come l'opener "Flame On My Head" o la cinematica "We Both Know" scorrono stanche e impalpabili.
Non giova poi un'epigonalità spesso eccessiva, come nel caso delle confuse galoppate "Le Chant De Cigales" e "Sunday Porch", nelle quali la strizzata d'occhio agli Arcade Fire appare più come una rincorsa affannosa piuttosto che una scelta di cavalcare l'onda in maniera accorta e, soprattutto, personale.
Peccato, perché proprio quando ci si appresta ad arrendersi alla realtà di un lavoro sì ben costruito, ma che scorre praticamente senza lasciare traccia, emergono alcuni timidi vagiti, come una claustrofobica "Who Took The Wheel", saggiamente contrappuntata dalla fisarmonica, o una spoglia "Monday", in cui il cantautore olandese si muove in punta di piedi su tenui carezze di chitarra acustica e piano.
La linea generale dell'album è però ben fotografata dal controverso singolo "Elephants" e dal suo continuo affastellarsi di probabili hook vocali e strumentali, che finisce col dimostrare di saper girare con grande disinvoltura attorno al bersaglio senza mai riuscire a fare centro per davvero. 
In sostanza, il "difficile terzo album" di Blaudzun lascia più dubbi che certezze. Per gli ascoltatori che prediligono la forma alla sostanza, "Heavy Flowers" non troverà difficoltà ad inserirsi nella lista dei dischi di riferimento del 2012, grazie al suo attenersi ai dogmi del songwriter "indie-folk-pop" moderno in maniera pressoché ineccepibile. Tutti gli altri non potranno invece fare a meno di etichettare il suo autore come l'ennesimo passeggero sul treno degli inseguitori. (Ondarock)

Tracklist
1.Flame On My Head
2.Elephants
3.Heavy Flowers
4.Le Chant Des Cigales
5.We Both Know
6.Solar
7.Who Took The Wheel
8.Monday
9.Le Chant Des Vagues
10.Sunday Punch
11.Another Ghost Rocket
12.Elephants (Nocturne)

http://www.myspace.com/blaudzun

venerdì 17 febbraio 2012

Marco Malvaldi - La Carta Più Alta (2012)

La carta più alta

"Non è che tutti gli anni possono ammazzare qualcuno per farvi passare il tempo", sbotta disperato Massimo il barrista. Ma è impossibile sottrarsi al nuovo intrigo in cui stanno per trascinarlo i quattro vecchietti del BarLume: nonno Ampelio, il Rimediotti, il Del Tacca del Comune, Aldo il ristoratore. Dalla vendita sottoprezzo di una villa lussuosa, i pensionati, investigatori per amor di maldicenza, sono arrivati a dedurre l'omicidio del vecchio proprietario, morto, ufficialmente, di un male rapido e inesorabile. Massimo il barrista, ormai in balìa dei vecchietti che stanno abbarbicati tutto il giorno al tavolino sotto l'olmo del suo bar nel paese immaginario e tipico di Pineta, al solito controvoglia trasforma quel fiume di malignità e di battute in una indagine. Il suo lavoro d'intelletto investigativo si risolve grazie a un'intuizione che permette di ristrutturare le informazioni, durante un noioso ricovero ospedaliero: proprio come avviene nei classici del giallo deduttivo. E a questo genere apparterrebbero, data la meccanica dell'intreccio, i romanzi del BarLume, se non fosse per le convincenti innovazioni che vi aggiunge Marco Malvaldi. La situazione comica dei quattro temibili vecchietti che sprecano allegramente le giornate tra battute diatribe e calunnie, le quali fanno da base informativa e controcanto farsesco al mistero. La feroce satira che scioglie nell'acido ogni perbenismo ideologico. La rappresentazione, umoristica e aderente insieme, della realtà della provincia italiana...

Dopo la felice digressione ottocentesca di Odore di chiuso, Malvaldi scende da Roccapendente, teatro delle vicende che in quel libro vedevano Pellegrino Artusi alle prese con un delitto, e torna al languore balneare e un po’ indolente di Pineta, luogo di finzione che chiunque abbia letto un romanzo di Malvaldi sente di conoscere come fosse reale.
“Balneare” e “Indolente” sono aggettivi che scadono come un litro di latte lasciato fuori dal frigo in agosto, però, quando fra i profumi di resina e le schiume decorate sopra ai cappuccini si comincia a sentir puzza di bruciato: una morte di vent’anni prima, archiviata come naturale, si ripropone fra i tavoli del BarLume, simile ad una brioche stantìa che torni su a far sentire un saporaccio molte ore dopo che l’abbiamo trangugiata senza il minimo sospetto.
Gli investigatori: Ampelio, Aldo il ristoratore, Il Rimediotti e il Del Tacca del Comune. Questi quattro ineffabili gourmet di semolino stanno sulla pagina con la disinvolta allure di un A-Team di ottuagenari, pronti ad ogni piè sospinto a rivendicare il loro diritto a mangiare – ché mangiare gli garba parecchio – a “giocà” a carte e fumare qualche sigaretta: arrivati al punto in cui sono arrivati, l’invulnerabilità è a un passo, anche quando si è alti come una damigiana e si pesa quanto un canterale.
A fare da contrappunto al loro incessante borbottìo, che sparge fiele sulle cose del mondo facendoci nel contempo ammazzare dalle risate, c’è Massimo, che ha da poco cambiato casa, ha divorziato, ha perso la sua banconista preferita, Tiziana, e ha una vicina di casa (soprannominata “Il gorgonoide”) che frigge dalla mattina alla sera alimenti non meglio precisati in oli non meglio precisati, impestando l’aria e guastando al nostro barrista l’umore mattutino.
Massimo farebbe volentieri a meno di cacciare il naso in una storia vecchia di vent’anni, e della quale non è affatto convinto. Ma il caso ci mette lo zampino, e un’inarrestabile catena di eventi scalda i motori per mettersi in moto come un diesel: lenta ed inesorabile.
Il vecchio Carratori, proprietario di una villa venduta in nuda proprietà e decisamente sottoprezzo, è morto nel giro di poche settimane dopo aver concluso quella transazione, apparentemente a causa di un tumore velocissimo e dall’esito inappellabile.
Ma allora perché la sua morte, riletta alla distanza assieme alle conseguenze che ha generato, assume contorni tanto ambigui e farraginosi? Ampelio & Co. non hanno dubbi: c’è lo zampino di qualcuno, dietro quella vicenda.
A mettere la ciliegina sulla torta al curaro che i quattro vecchietti stanno cucinando per Massimo, ci penserà un incidente, banale ma dalle conseguenze nefaste: il barrista mette un piede in fallo, inciampa in una radice e si rompe il legamento crociato, vedendosi così costretto ad una lunga convalescenza nello stesso ospedale in cui il Carratori spirò. E allora, in mancanza di libri gialli con i quali alleviare un po’ della noia che pervade le stanze, a cosa si può dedicare la fertile, tonica immaginazione di un barrista dalla mente svelta a trarre conclusioni quanto il braccio lo è a servire i caffè?
La carta più alta riesce in una di quelle alchimie cui il chimico Malvaldi ci ha abituati: imbastendo un intreccio godibile e ben strutturato che viaggia in parallelo alla splendida caratterizzazione dei personaggi e ai loro esilaranti dialoghi.
Si ride, ci si immedesima e si vuol bene a Massimo e ai suoi fantastici quattro, mentre già pregustiamo un prossimo episodio: ma in questo resteremo probabilmente delusi, perché Malvaldi ha dichiarato che La carta più alta sarà l’ultimo romanzo del ciclo dedicato al Barlume di Pineta.

giovedì 16 febbraio 2012

Annakin – Torch Songs

Whispering in «I Feel for You» and shouting in «The Lady and the Devil»: Annakin’s new record «Torch Songs» is an eclectic collage of electronics, live instruments, glorious song-writing and lots of jiggery-pokery. The Swiss artist adds wonderful male vocals to her own unique voice, combines marching drums with electronic beats and merges wind instruments with strings.
The term Torch Song comes from the saying „to carry a torch for someone“; it describes a love song in which the singer laments an unrequited or lost love in either a melancholic or rebellious way. Annakin alias Ann Kathrin Lüthi interprets this topic in twelve diverse and fascinating tracks.
and discharge in heavy guitars, drums and choirs that are reminiscent of Indian war songs. In her lyrics, Annakin dedicates herself to the dark side of the affair and has thus sent a grand envoy of the multifarious record. Annakin’s second album was produced in Zurich and London. When writing her lyrics, Annakin usually resorts to her own experiences, adds a pinch of poetry and accesses her imagination. Four songs were created in collaboration with Matthias Kräutli, Annakin’s drummer on the «Falling into Place» tour. Apart from this, he lent her his voice and plays the drums on nearly every Torch Song. Equally important for the organic outcome of this record is Adrian Weyermann who plays his wonderful guitars and sings an impressive duet with Annakin. Jono Buchanan produced the songs in London and just like Annakin he poured his heart and soul into the album. In his Clockwork-Studio, he programmed all the electronic sounds and recorded flugelhorn, horns, clarinets, flutes and trumpets. This Zurich and London based production has
resulted in an extraordinary piece of music that comprises the cultural and spiritual essences of both continental Europe and British isles. And now, oh play that thing again!

Tracklist
01. Gone Awry
02. Monsters
03. Sticky
04. Malfunction
05. The Coast Is Clear
06. I Feel For You
07. Torch Song
08. Speed & Spine
09. Alive
10. The Lady & The Devil
11. My Eden
12. Mindscape

http://www.myspace.com/annakinnet

mercoledì 15 febbraio 2012

Kwoon - The Guillotine Show

The Guillotine Show

Kwoon, a rather fine French combo, first came to my attention thanks to my good mate Phill and I was especially intrigued by their quirky video for the splendid left-field pop song I Lived On The Moon. Now, with two well received albums behind them, comes this EP, released on 6th October, six tracks clocking in at just under half an hour.
The sound they make has a distinctive European feel, and the first song and title track The Guillotine Show opens with the tolling of a bell, the song making a spooky entrance in a waltz time, unfocused atmospheric vocals adding just the right amount of mystique to a Gothic tune.
Wark continues the Gothic feel, slow building keyboards backing mysterious vocals, the mystery added to by Sandy's accent making the English vocals sometimes hard to decipher, but this only adds to the atmosphere. Us Anglo types are suckers for a Gallic tinged vocal after all! The song eventually builds to a wonderful classic post-rock layered guitar assault.
Following song The Last Trip Of A Drunken Man (great title!) is an almost straight acoustic number, and you can just about make out the group through swirls of imagined languid cigarette smoke. The band show an increased maturity on the EP, and the songs exude a burgeoning confidence, a swagger exemplified by the intro to the anthemic Emily Was A Queen which one can imagine going down a storm in a live setting. A thunderous bass guitar underpins the latter half of Bird, which begins in a style not far removed from Deserter's Songs period Mercury Rev, and the EP ends with an acoustic version of the marvellous I Lived On The Moon, all introspective chords, delicate harmonies and haunting cello.
A strong collection of songs by a band going from strength to strength, and a great introduction if you've not come across them before.
The band are on tour from the  October 10th, playing all over Europe. If there's any tickets left, they are playing at the Barfly in London on November 1st, a date I'm sad to miss, having a full gig diary around that time. Oh well, definitely next time!

Tracklist:
1. The Guillotine Show
2. Wark
3. The Last Trip Of A Drunken Man
4. Emily Was A Queen
5. Bird
6. I Lived On The Moon (acoustic remix remastered version)

http://www.myspace.com/kwoonmusic

Perfume Genius - Put Your Back N 2 It

Put Your Back N2 It

Sì, è proprio lui: Mike Hadreas. Lo riconosci subito, è proprio lui. Quasi un fantasma dolcissimo tra le pieghe della romantica preghiera di "Awol Marine".
"Put Your Back N 2 It" è il suo secondo album e rispetto al precedente "Learning" mostra un sound più curato, soprattutto per quanto riguarda la resa della voce, adesso cristallina e tagliente, ma come può esserlo un grido strozzato e riconvertito in un sussurro. Le sue storie, lo ha ammesso egli stesso, non sono più così private, anche se si inseguono e si perdono tra specchi dell'anima che sono sempre sul punto di rompersi, mandando in frantumi ogni possibile difesa. Così, in questo distacco che probabilmente mira a una indagine più accurata della sua sofferenza, Hadreas sperimenta nuove soluzioni, spesso però lasciando un po' l'amaro in bocca a quanti credevano in un exploit più sostanzioso rispetto al toccante ma comunque incompleto predecessore.
Plumbeo e un po' monocorde (probabilmente questo è il suo più grande limite...) "Put Your Back N 2 It" non disdegna, in ogni caso, la ricerca della speranza i cui segni, pur se al limite dell'indecifrabilità, giungono quasi inaspettati nella gospel-ballad di "Take Me Home" o negli echi Sufjan Stevens di "Dark Parts". Altrove, invece, il dolore fa il suo sporco lavoro, danzando un valzer tra pianoforte e chitarra ("Normal Song"), tentando solenni ascese al cielo ("All Waters"), producendosi in vaporose fluttuazioni del cuore (la title-track, le filigrane di archi di "17"), riverberandosi dentro voci-proiezioni che straziano ("No Tears", la chiacchierata "Hood", nel cui video compare l'attore porno gay Arpad Miklos) o evocando addirittura un Phil Collins isolato dal resto del mondo, dentro una bolla elettronica ("Floating Spit").
Mike è un ragazzo difficile perché la vita non è facile e una canzone non sempre riesce a salvarci. Anche perché, evidentemente, non sempre le canzoni riescono a reggere la sfida... (Ondarock)

Tracklist
1.Awol Marine
2.Normal Song
3.No Tear
4.17
5.Take Me Home
6.Dirge
7.Dark Parts
8.All Waters
9.Hood
10.Put Your Back N 2 It
11.Floating Spit
12.Sister Song

http://www.myspace.com/kewlmagik

lunedì 13 febbraio 2012

Downham Jenny - Tu contro di me (2011)

Tu contro di me

Due normali famiglie inglesi, una povera, i McKenzie, l'altra ricca, i Parker. Michael McKenzie è un ragazzo mite e sensibile. Lavora in un pub, ha due fratelli, una madre depressa e alcolizzata e un problema da risolvere: sua sorella Karyn è stata violentata da Tom Parker, che è stato arrestato ma subito messo in libertà vigilata grazie ai soldi e alle conoscenze del padre. Tom vuole vendicarsi, come minimo riempire Tom di botte facendosi aiutare da Jacko, il suo amico del cuore. Ma a casa dei Parker si festeggia il rilascio di Tom: non c'è nulla da fare. Eppure no, qualcosa ce: lo sguardo che Michael scambia con Ellis, la sorella minore di Tom. E amore a prima vista, anche se Ellis non sa nulla di Michael, e lui nulla le rivela di sé. Cerca piuttosto di carpire informazioni su Tom, mentre Ellis deve fronteggiare la cattiveria delle compagne di scuola e Karyn va in crisi. Ma alla fine Ellis scopre chi è veramente il suo innamorato. Non c'è più tempo, è lei ora a dover prendere una decisione: quella di dire finalmente la verità, tutta la verità su quella maledetta storia che ha rovinato la sua famiglia e quella di Michael.

Wild Driwing West – The Breakout

The Breakout

Hailing from Montreal, Will Driving West is headed by cinematic composer David Ratté. You can hear the chemistry of all the musicians, who are great musicians, the cello player being a masters student at McGill University. The title-track of their song The Breakout is the perfect representation of their abilities and doesn’t hesitate to highlight the beautiful cello playing of Camille Paquette-Roy. The album is definitely one that needs some careful attending to so check out their Bandcamp for more!

http://www.myspace.com/willdrivingwest

Shearwater – Animal Joy

Animal Joy

Debutto sotto Sub Pop per i Shearwater di Jonathan Meiburg, che quasi per seguire le origini della storica etichetta di Seattle, si cimentano nel disco più rock e diretto della loro discografia, realizzando comunque quello che è forse fino ad oggi il loro lavoro più compiuto.
Un disco da grandi platee che si apre però intimo, con la voce di Meiburg che guida Animal Life al finale corale e dal quale prende il via davvero il disco con tutti i suoi suoni e le sue ricercatissime musiche. Breaking the Yearlings è uno dei brani che sono serviti come lancio del disco ed è sorprendente nel suo incedere martellante a tratti epico, mentre i ritmi tornano a farsi vaporosi e delicati in Dread Sovereign, perfetta colonna sonora per una giornata di pioggia nel quale vi mettete a guardare qualche paesaggio addormentato; con You as You Were torniamo a quello stile fatto di grandi passaggi in crescendo, una tensione che con il passare dei secondi esplode in un finale anthemico che trasmette puro godimento. Sfuriata a tratti punk per Open Your House, conferma di una svolta più rock della band come da promesse e manifesto di questo “Animal Joy” ed ancora una volta centro fatto in pieno con un pezzo che mancava alla discografia della band e che dimostra come gli Shearwater abbiano nel loro bagaglio la capacità di suonare ogni forma di rock. Il passaggio toni accessi/lenti continua con Run The Banner Down, breve interemezzo soft a cui segue Pushing The River, brano tra i più canonicamente nello stile di Meiburg e compagni con la presenza di una sezione ritmica molto post-punkeggiante. Chiude il disco Star Of The Age, rock corale con la consueta ricchezza strumentale arricchita da una arpa, ma che ancora una volta segna un approccio più rock rispetto a quanto fattoci sentire nei lavori precedenti e la resa è davvero superlativa.
“Animal Joy” è quindi un grande disco, un lavoro importante per una band che giunta al capezzale della Sub Pop è pronta a prendere le redini del movimento folk-rock con un approccio che è diverso da quello di quasi tutti gli altri (Okkervil River compresi tanto per fare un esempio). Non è un disco perfetto, è però un disco che ha stigmate per diventare il disco in grado di consacrare gli Shearwater a livello mondiale. (Troublezine)

Tracklist
01. Animal Life
02. Breaking the Yearlings
03. Dread Sovereign
04. You as You Were
05. Insolence
06. Immaculate
07. Open Your Houses (Basilisk)
08. Run the Banner Down
09. Pushing the River
10. Believing Makes It Easy
11. Star of the Age

http://www.myspace.com/shearwater

venerdì 10 febbraio 2012

Unbunny – Moon Food

Moon Food

Già un pugno di album per etichette ruspanti e sparse, e adesso questo Moon Food che celebra il quindicesimo anno di attività per Unbunny, band dietro cui opera l'attività di songwriter di Jarid del Deo. Tutto un estro folk-rock sbilanciato sixties (l'enfasi acida, il trasporto fideistico) mantecato in un disincanto magico di quelli che Linkous buonanima ci distillava capolavori, coi germi del power pop ad illanguidire i contorni.
In queste dieci tracce per poco più di mezz'ora assistiamo perciò ad un gradevolissimo teatrino di situazioni melodiche che se non sembrano avere la forza per affondare il colpo riescono però a blandirti con garbo e arguzia. Un placido caleidoscopio dove scorgi i Birds tra fregole country e fervore religioso (Young Men Are Easy Prey), vivide cartoline Neil Young e raccomandate elettriche CSN&Y (Whispers), palesi tracce - appunto - Sparklehorse (Winning Streak, Landslide) e un impasto indefinibile di umori Lennon e Grandaddy (la splendida February Secret). Un piccolo disco da tenere caro. (Sentireascoltare)

Tracklist
01. Unbunny - Landslide (3:19)
02. Unbunny - Young Men Are Easy Prey (2:31)
03. Unbunny - Cell Phone (3:34)
04. Unbunny - Straw On A Camel's Back (2:53)
05. Unbunny - Winning Streak (3:34)
06. Unbunny - Are You Cautious? / Design Flaw (4:55)
07. Unbunny - Loose Wires (2:31)
08. Unbunny - Whisper (2:59)
09. Unbunny - You Run Like A Girl (2:24)
10. Unbunny - February Secret (3:27)

http://www.myspace.com/unbunny

Jacques Audiard – Il Profeta

Locandina Il Profeta

Un film di Jacques Audiard. Con Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Reda Kateb, Hichem Yacoubi, Jean-Philippe Ricci, Gilles Cohen, Antoine Basler, Leïla Bekhti, Pierre Leccia, Foued Nassah, Jean-Emmanuel Pagni, Frédéric Graziani, Slimane Dazi, Rabah Loucif. Titolo originale Un Prophète. Drammatico, durata 150 min. - Francia, Italia 2009.

Malik El Djebena ha 19 anni quando viene condannato a sei anni di prigione. Entra con poco o nulla, una banconota ripiegata su se stessa e dei vestiti troppo usurati, che a detta delle guardie non vale la pena di conservare. Quando esce ha un impero e tre macchine pronte a scortare i suoi primi passi. In mezzo c’è il carcere, la protezione offertagli da un mafioso corso, l’omicidio come rito d’iniziazione, l’ampliarsi delle conoscenze e dei traffici, le incursioni in permesso fuori dal carcere, dove gli affari prendono velocità.
Ciò avviene all’interno di una prigione, il cinema lo ha già raccontato altrove meglio che qui, per non parlare di come nasce un padrino. Quello che fa Audiard, nel suo film, è prendere il genere per mostrarsi infedele, instaurare con esso un doppio gioco, come fa Malik con il boss corso, stare apparentemente nelle regole ma prendersi la libertà di raccontare anche molto altro.
Malik è uno che apprende in fretta. Impara ad uccidere ma, dallo stesso crimine, impara anche che nel carcere c’è una scuola dove possono insegnargli a leggere e a scrivere. Dalla scuola apprende un metodo, grazie al quale impara da autodidatta il dialetto franco-italiano della Corsica: di fatto si procura un’arma, che obbliga il capo a tener conto di lui. Dagli arabi impara a capire cosa vogliono, dai Marsigliesi impara a trattare, da un amico, forse, imparerà a voler bene.
I compagni di galera prendono a definirlo un profeta, perché lui è quello che parla, con gli uni e con gli altri, quello che porta i messaggi dentro e fuori, che conosce la gente che può far comodo negli affari. Egli fa grandi cose, insomma; la sua via è tracciata come quella di chi ha una missione.
Ancora una storia che ruota nell’universo tanto umano quanto traditore della comunicazione, dunque, dopo quella in cui Vincent Cassel leggeva dalle labbra e quella in cui Romain Duris si affidava alle note. Qui le lingue sono almeno tre, ma è quella silenziosa del sangue che sigla gli accordi, e il potere, in questo codice, è inversamente proporzionale al numero di parole che richiede.
La critica di Audiard alla mala educazione del sistema carcerario è evidente, talvolta aspra, talvolta sarcastica (le uscite per “buona condotta”), ma non è tramite la parola che si esprime: la sua lingua è quella della regia, di cui è interprete sicuro e abile. Quello che propone allo spettatore, qui come in tutte le sue opere, è l’immersione completa nel mondo che racconta, la sospensione del pre-giudizio, lo spettacolo della complessità di un personaggio maschile. La pretesa questa volta, però, va oltre l’offerta: nonostante l’ottimo Tahar Rahim, protagonista, Un prophète si dilata oltremodo, prova qualche artificio ma non fino in fondo, sfiora emozioni interessanti che abbandona troppo in fretta, si lascia imprigionare dalla materia che vorrebbe liberare. Un film più maturo dei precedenti, ma meno comunicativo.

Il voto di Pierolupo: 3/5
Alla fine un bel film ma troppo troppo lungo, due ore e mezza, e lento. E' vero che in galera possono succedere giusto quelle quattro cose e infatti sempre e solo quelle accadono. In più una criminalità rappresentata come quasi giustificata.

mercoledì 8 febbraio 2012

Mauro Corona - Come sasso nella corrente (2011)

Come sasso nella corrente

In una stanza immersa nella penombra un donna, giunta all'autunno della vita, si muove lentamente appoggiandosi a un bastone. Intorno a lei sculture di ogni tipo. La donna le sfiora e insegue il ricordo di un uomo. Un uomo schivo, selvatico, che però ha saputo rendere eterno nel legno il sentimento che li ha uniti. Ogni statua evoca un episodio della vita avventurosa che quell'uomo ha vissuto e amava condividere con lei, le difficoltà di un'infanzia di povertà e abbandoni, in cui la più grande gioia era stare con i fratelli e i nonni attorno al fuoco, la sera, imparando a intagliare legno, o sentire la vibrante intensità della natura durante una battuta di caccia. Ogni angolo arrotondato delle sculture fa affiorare in maniera dirompente l'orgoglio e la rabbia di quel giovane che, crescendo, aveva voglia di farcela da solo, cancellando le ombre del passato che lo tormentavano. Ma quei profili, quelle figure che ancora profumano di bosco, raccontano anche che l'amore può trovare pieno compimento solamente nella trasfigurazione, nel sogno, perché l'unica via per non rovinare quel sentimento vero e cristallino è allontanarlo dalle mani dell'uomo che, nella sua intrinseca incapacità di essere felice, finirebbe inevitabilmente per sprecarlo. Dai boschi che Mauro Corona ci ha insegnato ad ascoltare e ad amare si leva in questo romanzo una voce nuova, per molti versi inaspettata, a tratti dolente ma non perciò men energica.

Luca Bianchini - Siamo solo amici (2011)

Siamo solo amici

Giacomo è un portiere d'albergo veneziano. Rafael è un ex-portiere di calcio brasiliano. Sono entrambi a un appuntamento con il destino ma l'essere stati davanti a una porta è l'unica cosa che hanno in comune. Il primo, dopo cinque anni di attesa, sta per rivedere la donna della sua vita: una signora sposata il cui mantra è "non si bada a spese", eternamene in conflitto tra i precetti religiosi e quelli astrali. Il secondo insegue un'attrice di telenovela, in fuga dal personaggio che le ha rubato l'anima. In un incontro fortuito e surreale Giacomo e Rafael instaureranno un rapporto singolare a tratti equivoco, che li porterà a capire chi sono e cosa desiderano. A sparigliare i piani, in una storia squisitamente teatrale, ci si metteranno altre due donne: una prostituta d'alto bordo che pensa di assomigliare a Gesù, e una giovane cassiera ostaggio della famiglia meridionale e dei look di Lady Gaga. Sullo sfondo, oltre il via vai dei clienti dell'hotel, una Venezia tratteggiata come un acquerello, lontana dalle cartoline, in cui la gente parla ancora in dialetto, ha paura degli stranieri e non sa rinunciare a un prosecco prima di cena.

lunedì 6 febbraio 2012

Tate Taylor - The Help

Locandina The Help

Un film di Tate Taylor. Con Emma Stone, Viola Davis, Bryce Dallas Howard, Octavia Spencer, Jessica Chastain, Ahna O'Reilly, Allison Janney, Anna Camp, Chris Lowell, Cicely Tyson, Mike Vogel, Sissy Spacek, Brian Kerwin, Leslie Jordan, David Oyelowo, Wes Chatham, Roslyn Ruff, Shane McRae, Ritchie Montgomery, Tarra Riggs, Tiffany Brouwer, La Chanze, Carol Sutton, Aunjanue Ellis, Dana Ivey. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 137 min. - USA 2012.

Jackson, Mississippi. Inizio degli Anni Sessanta. Skeeter si è appena laureata e il primo impiego che ottiene è presso un giornale locale in cui deve rispondere alla posta delle casalinghe. Le viene però un'idea migliore. Circondata com'è da un razzismo tanto ipocrita quanto esibito e consapevole del fatto che l'educazione dei piccoli, come lo è stata la sua, è nelle mani delle domestiche di colore, decide di raccontare la vita dei bianchi osservata dal punto di vista delle collaboratrici familiari ‘negre' (come allora venivano dispregiativamente chiamate). Inizialmente trova delle ovvie resistenze ma, in concomitanza con la campagna che una delle ‘ladies' lancia affinché nelle abitazioni dei bianchi ci sia un gabinetto riservato alle cameriere, qualche bocca inizia ad aprirsi. La prima a parlare è Aibileen seguita poi da Minny. Il libro di Skeeter comincia a prendere forma e, al contempo, a non essere più ‘suo' ma delle donne che le confidano le umiliazioni patite.
Va detto innanzitutto che è stato meritato il riconoscimento andato ai Golden Globe a Octavia Spencer per il ruolo di Minny e che il film ne meriterebbe molti altri, soprattutto sul piano delle interpretazioni. Film corale al femminile (gli uomini hanno ruoli del tutto secondari) ispirato al romanzo omonimo di Kathryn Stockett (grande successo negli Stati Uniti) The Help ha il pregio di costituire un'efficace ossimoro. È tanto attuale quanto old style. Perché vedendolo la memoria va a film come La lunga strada verso casa, 1990, che vedeva Sissy Spacek (presente anche qui) al fianco di Whoopi Goldberg. La ricostruzione filologicamente correttissima di abiti, ambienti e comportamenti potrebbe rischiare di mangiargli l'anima traducendolo nell'ennesima rivisitazione dei tempi in cui Martin Luther King aveva un sogno e John Fitzgerald Kennedy se lo vedeva stroncare a Dallas. Ma proprio in quella che potrebbe essere la sua apparente debolezza sta la forza di un film che riproponendoci un passato apparentemente così lontano ci fa ‘sentire' (potremmo dire quasi ‘fisicamente') che la sottile, insidiosa linea rossa (per dirla alla Malick visto che qui la Chastain offre un'ulteriore prova del suo eccellente trasformismo recitativo) che separa l'integrazione razziale dal rifiuto non ha interrotto il suo percorso. Mentre osserviamo le vicende dell' “ieri” ci viene da chiederci se quei problemi siano stati risolti una volta per tutte e non solo negli States. La risposta è purtroppo negativa.
Una sensazione di rabbia impotente promana dallo schermo quando si assiste a soprusi mascherati dal bon ton così come all'emarginazione di chi, dalla parte di chi ha la pelle meno scura, osa ‘disturbare' un quieto vivere che per conservarsi tale ‘deve' ignorare i diritti di persone dal cui lavoro dipende il proprio benessere. È un film privo di raffinatezze linguistiche quello di Taylor e quindi forse per questo destinato a piacere poco alla critica ‘impegnata' (anche se ovviamente speriamo di essere smentiti). Tra i vari pregi ha però anche quello di ricordarci che la parola (detta e scritta) ha sempre avuto un valore di riscatto. Prima di rischiare di disperdersi nei talk show.

Il voto di Pierolupo: 5/5
“Il coraggio ha saltato una generazione. Ti ringrazio per averlo riportato in questa famiglia”. Il film racconta della cattiveria più intima, quella che umilia, che ti penetra dentro, che ti uccide senza permetterti di morire, racconta dei falsi sorrisi e dell'ipocrisia. Attrici tutte formidabili. Un vero capolavoro.

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