Con un nome così (che ruba l’ambito scettro dell’eccentricità ai gallesi Victorian English Gentlemen Club, decretandone in qualche modo la “strana” morte) questo esordiente quintetto londinese ha senz’altro buone possibilità di conquistare il cuore palpitante di qualche laureando in ermeneutica filosofica con un debole per i funambolismi verbali. A un nome del genere non può certo corrispondere un gruppo indie “normale”, uno di quelli che sembra vivere in un weekend perenne, alle prese con i soliti problemi di cuore e attanagliato dall’insolubile dubbio circa la quantità di birra che può essere contenuta da uno stomaco malconcio in condizioni normali.
Chiaramente gli Strange Death Of Liberal England hanno un piglio più marcatamente arty rispetto a tanti loro coetanei e sembrano guardare con una certa insistenza attraverso i loro binocoli deformanti al di là della Manica e del proprio ombelico, in direzione degli Stati Uniti, ma soprattutto del Canada (nel caso specifico quello di Arcade Fire, Wolf Parade e Broken Social Scene), vera e propria San Salvador del rock indipendente verso la quale un numero sempre maggiore di gruppi indirizza la propria rotta in cerca di materie ancora vergini da poter sfruttare. Non per niente si attende a breve l’esordio sulla lunga distanza della band in qualche modo gemella (per attitudine stilistica) di questi SDOLE, ovvero i Los Campesinos!, quasi a decretare la nascita di una nuova tendenza o grande migrazione “canadese” dei gruppi britannici.
Già il sottotitolo fornito dal gruppo inquadra alla perfezione l’essenza della sua musica: “Eight Traditional Marching Songs” si legge e di questo in fondo per la precisione si tratta, ovvero dell’improbabile canzoniere di una squinternata e farneticante banda di paese prestata ai meccanismi più o meno consueti della produzione indie più recente. L’apertura delle danze è affidata a “Modern Folk Song”, che parte bucolica e sognante con pacatissime trame di chitarra acustica (molto folk per l’appunto) e si lascia poi azzannare all’improvviso alla giugulare da una chitarra distorta e urlatrice che ricorda molto da vicino, nel suo ingresso inferocito e fiottante, i (da poco tornati in pista) British Sea Power, ai quali i nostri, già a partire dal nome, qualcosa con tutta evidenza devono, compresa la tendenza ad assecondare i guizzi più spericolati della propria fervida immaginazione.
Ma è ascoltando le successive “I Saw Evil”, “Day Another Day” e “Mozart on 33” che diventa davvero difficile, se non impossibile, non pensare agli Arcade Fire, con tutto quel rigoglioso fiorire di debordanti crescendo strumentali e una generale e progressiva “verticalizzazione” del suono lungo un’iperbole sempre più tesa e inarcata (come in un inno religioso), ulteriormente accentuata dallo scampanare festoso di cori all’unisono intrisi di epica, che tanto avevano colpito all’epoca dell’uscita di “Funeral” e che sono oggi diventati patrimonio comune di numerosissime band, a riprova dell’inconfutabile classicità, nel bene e nel male, di quel disco irripetibile.
Volendo, qua e là si trova anche qualche accenno di Modest Mouse, anzi i più maligni potrebbero anche definire questo Ep una collezione di scoppiettanti “Float On” a qualche centimetro dalla deflagrazione, che finiscono troppo spesso con l’imbrattarsi i pantaloni nella propria incontenibile grandeur (a parte forse “Old Fashioned World”).
Resta il fatto che per ora alla lenza variopinta (la finale “Summer Gave Us…” è addirittura un pezzo post-rock nella migliore tradizione di Mogwai e compagni) di questo giovane gruppo abbiano abboccato soltanto canzoni di taglia medio piccola, talvolta vivaci e a tratti guizzanti, ciò non esclude che potremmo comunque avere presto tra le mani, mediaticamente parlando, i Clap Your Hands Say Yeah del 2008. (Ondarock)
Tracklist
1.Modern Folk Song
2.Oh Solitude
3.Day Another Day
4.Old Fashioned War
5.Mozart On 33
6.I Saw Evil
7.God Damn Broke And Broken Hearted
8.Summer Gave Us Sweets But Autumn Wrought Division
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