Un film di Shane Meadows. Con Paddy Considine, Gary Stretch, Jo Hartley, Toby Kebbell Titolo originale Dead Man's Shoes. Drammatico, durata 90 min. - Gran Bretagna 2004.
Richard torna dopo sette anni a Matlock nel Derbyshire per regolare i conti con gli aguzzini del fratello Michael, ritardato e da lui improvvisamente abbandonato per intraprendere la carriera militare.
Sangue chiama sangue, come in un'atavica legge del taglione. Lì dove finisce il codice di Hammurabi e ancora non comincia la civiltà. No, non siamo a Babilonia nel 2000 a.C. ma nella verde Inghilterra, tra la nebbia e la brughiera sterminata. Una piccola storia di paese, come tante, in cui la normalità – ammesso che questa sia mai esistita – tira la corda e degenera; un branco e un debole d'altronde, vuoi per noia, eccesso di testosterone o semplice empietà, non formano mai una bella combinazione.
Shane Meadows, beniamino di tanta critica per aver restituito fulgore al cinema inglese, immortalandone senza pudore e retorica – vizi così diffusi laggiù - i lati più deplorevoli, sceglie qui la schietta semplicità. Non c'è spazio per la ricerca o l'approfondimento, solo per la brutale messa in scena della Vendetta, laida e inevitabile megera che non restituisce mai il sorriso né sa riportare allo status quo ante. Non dà soddisfazione ad alcuno, ma si ripresenta puntuale nella sua ineluttabilità, specie quando il vendicatore è il primo ad avvertire qualche peso sulla propria coscienza. Dead Man's Shoes, baciato da una soundtrack di altissima fattura (Smog, Aphex Twin, Arvo Part, Bonnie Prince Billy) e dall'interpretazione di un allucinato Paddy Considine, va dritto allo scopo, crudo come uno slasher senza maniaci immortali e diretto come un singolo hardcore-punk dei tempi belli. Una rapida scarica di adrenalina che si lascia una visibile scia di sangue alle spalle.
Il voto di Pierolupo: 3/5
La vendetta nelle sue varie forme non mi è mai stata molto congeniale. Questo film è intriso di vendetta, si sviluppa intorno al grande rimorso del protagonista per essersi vergognato del fratello disabile, di averlo lasciato solo in balia delle cattive amicizie e soprattutto di non avergli mai dimostrato il suo amore fraterno.
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