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mercoledì 9 maggio 2012
Alexander Payne – Paradiso Amaro
Un film di Alexander Payne. Con George Clooney, Shailene Woodley, Beau Bridges, Robert Forster, Judy Greer, Matthew Lillard, Nick Krause, Amara Miller, Mary Birdsong, Rob Huebel, Patricia Hastie. Titolo originale The Descendants. Commedia, durata 110 min. - USA 2011.
Le Hawaii non sono esattamente il paradiso in terra che tutti crediamo: almeno non lo sono più per uno dei suoi abitanti, Matt King. Sua moglie Elizabeth ha appena avuto un incidente che l'ha gettata in coma, e non si riprenderà più. Non resta che staccare le macchine che la tengono ancora in vita. Da anni troppo concentrato sul suo lavoro, l'uomo si ritrova con due figlie che ormai non conosce più, la più grande delle quali, Alexandra, è sulla via della ribellione più spinta. Il dolore di Matt per la tragedia subita si trasforma in frustrazione quando scopre che sua moglie aveva una relazione extraconiugale, e stava per chiedere il divorzio. Il marito tradito e disperato si lancia allora alla ricerca dell'amante della sua sfortunata consorte…
Prima di Sideways consideravamo Alexander Payne un regista interessante ma tutto sommato sopravvalutato: Election e A proposito di Schmidt avevano svelato un cineasta dotato di notevole gusto acido per la commedia ma troppo propenso a dipingere personaggi sopra le righe e con i quali era difficile empatizzare. Poi è arrivato il capolavoro con protagonista Paul Giamatti, straordinario esempio di compostezza estetica e volontà di scavare in profondità dentro la psicologia e i sentimenti di uomini comuni. Adesso a sette anni di distanza viene presentato Paradiso amaro al Toronto Film Festival, opera che si pone come ulteriore e prezioso tassello nella filmografia di Payne in quanto capace di equilibrare le due facce del suo cinema che sopra abbiamo evidenziato.
Spesso l'ironia, il sarcasmo e le situazioni più assurde arrivano proprio nei momenti in cui l'animo umano è maggiormente esposto al dolore. Questo ci mostra con perizia e sensibilità il suo nuovo lungometraggio, costruito su persone assolutamente comuni che nella difficoltà perdono le loro certezze ma si sforzano di ritrovare un nuovo equilibrio, simile nella sostanza ma costruito su basi molto più solide di quello trovato in passato. George Clooney si dimostra, fin dalle primissime scene, perfetto nelle vesti comode ma sottilmente complicate di un uomo confuso come potrebbe essere chiunque in tali circostanze. Una prova d'attore tanto matura la sua quanto convincente proprio perché lavora in sottrazione, e non sfrutta l'appeal e il carisma ormai consolidati che la star di solito propone sul grande schermo. Accanto a lui appaiono in varie scene un gruppo di caratteristi di finissima bravura, tra i quali spiccano Robert Forster e la troppo sottovalutata Judy Greer. Merita poi una segnalazione la giovane Shailene Woodley, bravissima nella parte della primogenita scombinata che nel momento del bisogno ritrova se stessa e si dimostra spesso più matura di suo padre.
Alexander Payne costruisce Paradiso amaro secondo il suo stile di regia lineare, mai ostentato, che inquadra volti e ambienti lasciando che siano loro e i dialoghi di una sceneggiatura umanissima a creare la sostanza del film. Il risultato è una commedia molto toccante, vagamente stonata, abile nello scavare dentro figure che si differenziano pochissimo da noi. L'acquisita forza del cinema di Alexander Payne come Paradiso amaro conferma pienamente sta proprio in questo, nel rendere interessante e coinvolgente la vita interiore di personaggi con cui ci si può identificare nel loro essere ordinari, o meglio esseri umani.
Il voto di Pierolupo: 4/5
Beh a me è piaciuto molto, molto bella la maturazione della figlia più grande nei confronti di un padre diciamo “distratto”. Bravo Clooney, che a me non piace mai tanto ma stavolta bravo davvero. Paradiso Amaro è un film molto elegante e toccante. Il maggior merito di questo film è di raccontare una storia reale, di malattia e morte, senza retorica.
martedì 1 maggio 2012
Woody Allen - To Rome With Love
Un film di Woody Allen. Con Woody Allen, Alec Baldwin, Roberto Benigni, Penelope Cruz, Judy Davis, Jesse Eisenberg, Greta Gerwig, Ellen Page, Maricel Álvarez, Neri Marcorè, Lina Sastri, Fabio Armiliato, Monica Nappo, Alison Pill, Riccardo Scamarcio, Isabella Ferrari, Sergio Rubini, Massimo Ghini, Antonio Albanese, Alessandra Mastronardi, Ornella Muti, Flavio Parenti, Alessandro Tiberi. Titolo originale Nero Fiddled. Drammatico, durata 111 min. - USA, Italia, Spagna 2012.
Jack e Sally sono una coppia di studenti americani a Roma, in attesa dell'amica di lei, Monica, un'attrice in erba con la fama della seduttrice seriale. John è un famoso architetto, di ritorno nella città eterna dopo trent'anni, che rivede in Jack se stesso da ragazzo e tenta inutilmente di metterlo in guardia rispetto a Monica. Anche Hayley è giovane e americana: innamoratasi di Michelangelo, figlio di un impresario di pompe funebri, convoca i propri genitori in Italia per far conoscere le famiglie. Insieme al padre regista d'opera in pensione e alla madre strizzacevelli, arriva a Roma anche una coppietta di Pordenone che finirà separata per un giorno da un turbine di equivoci. Ultimo è Leopoldo Pisanello, che diverrà per qualche tempo il primo, per la girandola della ribalta, il capriccio di una fama che è pura illusione e come viene se ne va.
Vorrebbe, forse, essere un film felliniano, To Rome with love , ma è soprattutto un film stanco. Allen finge di avere in mente Lo Sceicco Bianco o i quadri eterogenei, chiassosi e umilianti di “Roma”, ma in verità non fa che citarsi addosso, senza trovare idee nuove e persino senza approfondire le vecchie, senza investire in alcun modo nell'impresa, quasi fagocitato dalle sabbie mobili dei topoi narrativi più facili – il vigile urbano che apre e chiude il decamerone di storielle morali, le donne baffute in veste da casa, la star della tivù che lusinga la ragazzina di provincia -, proprio lui che è sempre fuggito da qualsiasi clichés non fosse di sua invenzione.
Si vorrebbe credere, allora, che guardi volontariamente ad un cinema del passato, come ha fatto altrove, come ad un rifugio nostalgico, ma è presto chiaro che così non è, al contrario: dal “fantasma” di Alec Baldwin alla nevrosi istrionica di Ellen Page, sono pezzi delle sue stesse opere che qui ritornano senza ossigeno vitale, come rovine di un'età ispirata ma antica (con tutto che questo episodio “americano” è forse il più riuscito, nel suo essere un classico del repertorio del regista, affidato ad un trio di giovani).
Certo il colpo d'occhio dello straniero sui costumi della capitale è da maestro di sintesi e cinismo, tutti gesticolano, spuntano i nani e le ballerine, realtà e finzione si confondono come nei Pagliacci - il cui allestimento ironico rappresenta l'unica trovata geniale del film - ma il resto è irrimediabilmente sciatto, abbozzato, per lo meno di seconda mano. Mai così povero, pur nell'abbondanza di personaggi e situazioni. Quando Benigni si cala i pantaloni, per dirla con Leoncavallo: “la commedia è finita”, il delitto è compiuto.
Il voto di Pierolupo: 3/5
Questo certamente è uno dei lavori meno riusciti di Allen. Stupenda solo la Cruz, ma le trovate sono deboli, gli attori italiani penosi, Benigni senza verve probabilmente schiacciato dalla direzione del regista, lo stesso Allen in una parte in cui ci si aspetta la battuta che non arriva mai. Si rimpiange persino Midnight in Paris che già non era stato un granchè.
Neil Jordan - The Butcher Boy
Un film di Neil Jordan. Con Stephen Rea, Fiona Shaw, Eamonn Owens, Alan Boyle, Andrew Fullerton, Aisling O'Sullivan, Sean McGinley, Peter Gowen, John Kavanagh, Rosaleen Linehan, Anita Reeves, Gina Moxley, Niall Buggy, Ian Hart, Anne O'Neill. Titolo originale The Butcher Boy. Drammatico, durata 106' min. - Irlanda, USA 1997.
Un bambino di dodici anni è il protagonista di questo sconvolgente e struggente film di Neil Jordan del 1997. Tratto da un romanzo di pochi anni addietro - "Il garzone del macellaio" di Patrick McCabe - il film è stato amato e odiato per via della sua crudezza. La storia è ambientata nel 1962, durante la Guerra Fredda e, più nello specifico, nel tumulto della crisi missilistica tra Cuba e USA. Francie Brady è il ragazzino protagonista interpretato dall'impagabile e suggestivo Eamonn Owens, allora bambino. Francie, devastato dall'età infantile dal comportamento dei suoi genitori irresponsabili, trova un lavoro e dopo la scuola - tutti i giorni - si reca dal macellaio per guadagnare pochi spiccioli. Il padre inizia a complicargli la vita fin da piccolo, ubriacandosi continuamente a causa del suo insuccesso nel campo musicale. La madre invece, ha sempre avuto problemi psichici e disturbi della personalità tanto da avere una tendenza suicida. Per di più, la condizione economica del paese irlandese in cui è ambientato il film - Carn - non è delle migliori e aggrava ancor di più la situazione della vita del giovane ragazzo. Alla morte della madre (per suicidio), il padre si rintana sempre più nel suo buio mondo in fondo a una bottiglia di Scotch, lasciando a Francie il compito di mantenere la famiglia. Purtroppo il ragazzo entra in un brutto giro malavitoso e viene portato prima in riformatorio e poi, a causa dei pregiudizi nei confronti della sua famiglia, in manicomio. Da lì in poi, comincia la sua avventura con il suo amico immaginario Joe. Con lui inizia a sterminare con la fantasia tutte le persone che gli hanno sempre dato fastidio o che l'hanno preso in giro. Incendi, bombe e omicidi programmati nella mente del ragazzo.
Ciò che rende speciale The Butcher boy è la creazione di un mondo totalmente alterato dalla realtà. Neil Jordan è stato capace di trasportarci nel mondo favolosamente brutale di un bambino triste che a soli 12 anni ha già subito gran parte delle bruttezze del mondo. Un'altra particolarità di questo film è la voce narrante costante nel film. Essa racconta nei minimi dettagli ciò che si sta guardando. Infine, il genere di The Butcher boy è difficile da decifrare. Talvolta si presenta a noi come un film comico, talvolta no, sprofondando in quella depressa disperazione di drammaticità a ritmo di una voce calda di sottofondo. Gli eventi scivolano via lasciando un emblematico peso sulle spalle del protagonista, un peso che sanerà solo e soltanto con la sua ingenua crudeltà: l'omicidio.
Il voto di Pierolupo: 4/5
Bravissimo il ragazzino rosso completamente fuori di testa interprete del film, anche se complessivamente il film non mi ha convinto del tutto, molto bella la rappresentazione della gente.
Joel Schumacher – Trespass
Un film di Joel Schumacher. Con Nicolas Cage, Cam Gigandet, Nicole Kidman, Jordana Spiro, Dash Mihok, Ben Mendelsohn, Liana Liberato, Gracie Whitton, Terry Milam. Titolo originale Trespass. Azione, durata 85 min. - USA 2011.
Una villa lussuosa, ultra moderna e super accessoriata. Una famiglia con qualche problemino: il padre sempre in viaggio per lavoro (vende diamanti ma tiene a precisare che fa tutto questo per moglie e figlia); una moglie annoiata ed inquieta; una figlia che manifesta i primi segni di ribellione e con molta voglia di crescere in fretta, complice un’amica che vorrebbe condurla sulla cattiva strada e per questo per nulla gradita ai genitori. Quattro criminali che hanno scelto di prendere in ostaggio proprio quella famiglia e proprio in quella casa per recuperare un bel gruzzolo di soldi. Con queste premesse è possibile oggi confezionare ancora qualcosa di originale ed appetibile? Evidentemente no. Pensavo che dopo l’indecente “Hostage” (scomodare di nuovo Wyler o Cimino mi sembra davvero offensivo) sul tema anche a Hollywood si fosse messa definitivamente una pietra sopra. Ed invece per fare lavorare due bolliti (Cage + Kidman) ed un fallito (Schumacher), ci si riduce a questo. Lo sconosciuto (rimarrà tale) sceneggiatore Karl Gajdusek tenta invano di ravvivare la logora e stracca materia con risibili dinamiche conflittuali tra i rapinatori, ambigue ma patetiche implicazioni tra uno di essi ed il personaggio della Kidman (spiegate da Schumacher con flashback scolastici e futili), grossolani colpi di scena volti a ribaltare la fiacchissima prospettiva di situazioni ben più che convenzionali (il rapporto tra i due fratelli criminali, Cage che, nonostante le apparenze, rivela di essere al verde e pieno di debiti, quasi una dichiarazione autoironica da parte dell’attore), ma il risultato è goffo, pigro, incredibilmente noioso ed approssimativo, oltre tutto appesantito da ripetute ed inaccettabili incongruenze logiche (una su tutte, subito all’inizio, giusto per mettere di buon umore: Cage è tenuto in ostaggio nella casa, la Kidman riesce a scappare dai criminali e parte con la Porsche, percorre a tutta velocità il vialetto della villa, ma poi viene fermata d’improvviso da uno dei banditi che minaccia con la pistola il povero Cage e chissà come è riuscito a precederla). Non mancano, come in “Hostage”, le consuete e trite staffilate contro i ricchi che possono avere tutto, mente i poveracci sono costretti a darsi alla criminalità e qualche battuta che vorrebbe essere cattiva (“La famiglia, non è una fregatura eh?”). Peccato che poi tutto si concluda proprio con la celebrazione retorica, ipocrita e tronfia di quella famiglia che si vorrebbe mettere alla berlina e che, superate estreme difficoltà, tradimenti e bugie, si ricongiunge più unita di prima. Inutile essere clementi con prodotti così dozzinali, scriteriati e beceri: un vero disastro. Il produttore Irwin Winkler negli anni settanta e ottanta produceva “Non si uccidono così anche i cavalli?”, “Fragole e sangue”, “I nuovi centurioni”, “Toro scatenato”, “New York New York”, “Rocky”: oggi, oltre a dirigere robetta sterile come “Home of the brave”, ci propina questa indigeribile accozzaglia di banalità e luoghi comuni. Così oggi va Hollywood. Cage con occhialini da intellettuale e vestito di tutto punto fa letteralmente pena e, se possibile, è peggio del solito, la Kidman è ormai inguardabile (tra l’altro riceve un due di picche dal mostruoso Cage, dopo avergli fatto gli occhi dolci, quindi rifiuta maldestramente le avances del figaccione Cam Gigandet che, secondo un immaginario erotico da poppante, uscito dalla piscina con fisico palestrato e muscoli ben in vista tenta di sedurla). Schumacher è in fase terminale: meglio staccargli la spina.
Il voto di Pierolupo: 3/5
Il film si dipana in situazioni appena al di fuori dello scontato e questo non basta a renderlo interessante. Dimenticabile, mi dispiace per i due interpreti ma potevano davvero evitare questo film.