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venerdì 18 giugno 2010
Vuk - The Plains
http://www.myspace.com/vukmusic
http://rapidshare.com/files/251349335/vuk.rar
The Plains esplora paesaggi virtuali, reconditi, giardini, carnevali, funerali e territori sottomarini, alimentati da sogni, meditazioni, memorie e Spaghetti-western. [...] C’è qualcosa, portato dai venti del Nord, che proviene da un punto non ben individuato della sconfinata foresta finlandese, che arriva fino a noi. Immagini sconnesse che si fanno via via più definite… Abbarbicata sullo scranno dell’organista in una cappella sepolta nel muschio, Vuk scaglia la sua voce elegante ma ferma: il pentacolo incandescente davanti all’altare evoca con forza lo spirito di Nick Cave. Preghiere ataviche di religioni dimenticate incorniciano desolate distese dell’anima, violentata dalle fiammate inquietanti di una voce ultraterrena. Melodie rubate da musicisti ambulanti dell’Europa devastata dalla peste, untori strappati alla vita terrena di remoti villaggi ungheresi per un’immortale esistenza di schiavitù. [...] Attraverso le note, Vuk spia ciò che si agita nel profondo dell’ascoltatore, attraendolo con forza verso freddi abissi di oblio, in cui echeggiano le grida e i lamenti di milioni di anime [...]". Ora capirete bene che mi è un pò difficile aggiungere qualche parola alla recensione così evocativamente precisa di Lorenzo Righetto su Monthly Music, però dovrò comunque farlo. Orbene innanzi tutto potrei cominciare a dirvi che sotto il moniker 'Vuk' si cela la 27enne Emily Cheeger, metà finlandese e metà newyorkese, ex Dirty Projectors e multistrumentista (su 'The Plains' suona organo a pompa, fisarmonica, armonica, xilofono, theremin, kalimba, kantele, piano, chitarra, basso e ogni genere di percussione e questo dovrebbe già dare un'idea dal taglio musicale che lo indirizza). E dunque, nonostante le origini il suo album risulta tanto lontano dalle rotonde orchestrazioni pop scandinave quanto dalle spigolosità della scena alternative di New York. Il fatto è che Vuk riesce a creare una sorta di realtà alternativa attraverso la fusione di più piani musicali differenti e ad incastrarti dentro questo mondo parallelo è proprio la sezione ritmica, diciamo concrete oriented. Non siamo ai livelli di Tom Waits su 'Bone Machine' (la macchina delle ossa, appunto, quando perlustrava tutte le pattumiere di L.A. alla ricerca di materiali ed oggetti disparati da usare come percussioni in studio di registrazione), però risulta indubbia una certa ricerca in questo senso anche da parte di Emily. Allo stesso modo anche il suo fascino vocale gioca un gran ruolo in questo percorso musicale, con versatilità, estensione e modulazione, Vuk è in grado di passare con estrema naturalezza dalle potenti escusrioni vocali in stile Bjork, fin alle eteree fragilità alla Kate Bush. Ecco proprio la Bush è l'unico nome che mi balza in mente se dovessi fare un paragone, più antropologico che musicale, tra Vuk e qualsiasi altro artista. Spendo infine qualche parola sui pezzi del disco, tutti di grande impatto e messi in tracklist con un crescendo deflagrante. A cominciare dal mantra sciamanico di 'Barefoot In Arizona' (il pezzo che ho messo nella mia compilation di Giugno, passando per 'Kiss The Assassin' (che prodotta da Timbaland e cantata da Beyoncè con gli inserti rap di Jay-Z sarebbe la Hit dell'anno in tutte le charts) e per l'esotica 'All My Worries' (che comincia col profumo di 'Libertango' per virare decisamente verso sapori di samba e rumba brasileira) e per finire con la title track, una suite di quasi 7 minuti che compendia tutto l'album coi suoi differenti movimenti musicali che si sussieguono e la voce di Vuk che declama una sorta di canto pagano. 'The Plains' è un disco alieno e forse non adatto a tutte le orecchie insomma, ma caspiterina se non è un gran disco! (Almost Blue In Reverse)
Tracklist
1. Flint in The Pines
2. The Arms of Spirits
3. Red-beard
4. Accidental Mermaid
5. Gramophone and Periscope
6. Barefoot in Arizona
7. Kiss The Assassin
8. All My Worries
9. The Plains
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