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mercoledì 11 marzo 2009

David Bowie - The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars

The Rise And Fall Of Ziggy Stardust

Music Research Engine

http://profile.myspace.com/index.cfm?fuseaction=user.viewProfile&friendID=17229523

Il Voto Di Pierolupo: 5/5

Tracklist
1. Five years
2. Soul love
3. Moonage daydream
4. Starman
5. It ain't easy
6. Lady Stardust
7. Star
8. Hang on to yourself
9. Ziggy Stardust
10. Suffragette city
11. Rock 'n' roll suicide

All'alba degli anni 70, in Inghilterra, il rock diventa un ballo in maschera. Sotto le sgargianti luci dei neon, impazzano i giovani "dudes": neo-fricchettoni che trasformano i barbosi raduni eco-pacifisti dei loro cugini hippie in uno sfrenato festival del kitsch . Che sia "peace and love", insomma, ma senza più vincoli ideologici o politici di sorta. Trionfano così il disimpegno, il travestitismo e l’ambiguità sessuale, in un profluvio di lustrini e paillettes, piume e rimmel, stivali e tutine spaziali. E' il tempo del "glam-rock" e di una nuova ubriacante Swingin' London. "Rock'n'roll col rossetto", lo definirà John Lennon. In questo carnevale delle vanità, David Bowie centra la maschera perfetta: Ziggy Stardust. Un alieno androgino dalle movenze sgraziate, truccato come una drag queen e munito di parrucca color carota. E' lui "l'uomo che cadde sulla terra", il messia ("a leper messiah") di una rivoluzione rock che dura una stagione sola, il tempo che passa tra la sua ascesa e la sua caduta ("the rise and fall"). E in questa parabola c'è tutta la rappresentazione dell'arte di Bowie: la messa in scena del warholiano "quarto d'ora di celebrità", l’edonismo morboso di Dorian Gray, la parodia del divismo e dei miti effimeri della società dei consumi e, non ultimi, i presagi di un cupo futuro orwelliano.
Ma andiamo per ordine. E' il 1972 e un anno prima David Bowie, già autore di prove tanto promettenti (il gioiello "Space Oddity") quanto discontinue, è riuscito finalmente a mettere a fuoco il suo sound in "Hunky Dory", summa di un nuovo vocabolario rock, al crocevia tra psichedelia malata à-la Velvet Underground, folk d'ascendenza dylaniana e - per l'appunto - glam-rock, sulla scia dei T. Rex di Marc Bolan. Ma per entrare appieno nell'epopea glam, serve un personaggio che colpisca l'immaginario del pubblico. Con un'anima rock e una storia da raccontare: quella di "The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars". Registrato dallo stesso ensemble di "Hunky Dory", la band ribattezzata per l'occasione "The Spiders from Mars" - Mick Ronson (chitarra e pianoforte), Trevor Bolder (basso) e Woody Woodmansey (batteria) - e il produttore Ken Scott, è un concept-album su ascesa e (auto)distruzione di un "plastic rocker", secondo la definizione dello stesso Bowie.
Romantico e voluttuoso, ambiguo e sfrontato, "extraterrestre", e quindi libero dai tabù sessuali che incatenano l’umanità, Ziggy polveredistelle è la quintessenza dello spirito glam. In lui convivono passato e futuro: figlio dell’aura decadente del cabaret mitteleuropeo anteguerra, è proteso nello slancio avvenirista dell’"Arancia Meccanica" di Kubrick (1971), le cui note iniziali apriranno gli show dello Ziggy Stardust Tour. E’ la maschera che incorpora tutti gli stereotipi del rock filtrati attraverso la lente grottesca del glam. Una caricatura del divo, destinato a essere idolatrato dal pubblico e stritolato dallo star-system. I suoi modelli sono i padri nobili del rock (Jim Morrison, Brian Jones, Mick Jagger, Lou Reed, Jimi Hendrix), ma anche personaggi improbabili, come Vince Taylor, il "Presley francese", rocker dei Sixties morto pazzo e suicida che Bowie citerà proprio come diretta ispirazione della sua "creatura", e The Legendary Stardust Cowboy, ovvero Norman Carl Odom, bizzarro bluesman americano che sarà omaggiato perfino con una cover ("I Took A Trip On A Gemini Spaceship") in "Heathen" (2002). La finzione scenica, però, prevarica presto la realtà e Bowie si incarna nel suo alter ego fino a immolarlo sul palco, donandogli l'immortalità. Già, perché è sulla dicotomia "effimero-eterno" che si gioca tutta l'opera. E il fatto che alla fine abbia prevalso il secondo (il disco è tuttora considerato un classico) è la dimostrazione che nel dandy londinese marketing e arte sono un binomio vincente e inscindibile.
Musicalmente, l'album è una raccolta di ballate romantiche e di rock'n'roll elettrificati e tiratissimi, al limite del punk. Musica da suonare a tutto volume, come raccomanda il retro della copertina. Nelle undici tracce viene sfoderato tutto l'armamentario glam: dalle voci sguaiate ed effeminate alle chitarre affilate, dagli arrangiamenti pomposi d’archi alle melodie struggenti. Ma in tanto melodramma Bowie non si prende mai sul serio: le sue canzoni sono uno sberleffo alla morale bacchettona, un saggio di trasgressione ironica e, spesso, di puro nonsense. Per aumentare il clamore, poi, confesserà al britannico Melody Maker: "Sono gay e lo sono sempre stato". Vero o falso, non importa: lo scandalo è creato, perché "fame, what you need you have to borrow" ("fama, quello di cui hai bisogno devi prenderlo in prestito"), come teorizzerà in "Fame" (1975).
La saga di Ziggy inizia con una profezia apocalittica. La Terra è sull'orlo del collasso, restano cinque anni prima della catastrofe: "We had five years left to cry in". E' la batteria di Woodmansey a dettare le cadenze di "Five Years", che parte come una ballata languida e si impenna in un magnifico crescendo, fino a esplodere nell'urlo isterico di Bowie. Cullato dalla rapsodia swing di "Soul Love", l'ascoltatore viene poi proiettato in un sogno a occhi aperti: "Moonage Daydream", l'Era lunare è arrivata e con essa il suo messia: "I'm an alligator, I'm a mama-papa coming for you/ I'm the space invader, I'll be a rock 'n' rolling bitch for you". Ziggy è un redentore, dunque, ma anche "una puttana", il simbolo del meretricio del music-business. Esaltata dallo stridulo falsetto di Bowie, dalle distorsioni da capogiro della Gibson Les Paul di Ronson e da un assolo di sax al fulmicotone, è una cavalcata elettrica folgorante e l'apoteosi definitiva del glam-rock. Ziggy è l'uomo delle stelle, invocato nella ballata spaziale di "Starman", una delle melodie più leggendarie di Bowie, nonché (forse) uno spunto per la trama del film di fantascienza "Incontri ravvicinati del terzo tipo" di cinque anni dopo. Il celeberrimo ritornello ("There's a starman waiting in the sky/ He'd like to come and meet us/ But he thinks he'd blow our minds") è un capolavoro, degno di stare al fianco dei classici dei Beatles. Perché come i quattro di Liverpool, Bowie possiede la rara dote di saper costruire da poche sillabe ciò che gli americani chiamano "hooks", gli ami da pesca, capaci di catturare per sempre l’ascoltatore.
Il melodismo bowiano trionfa nella svenevole "Lady Stardust", con le chitarre sature e le struggenti figure di piano di Ronson ad assecondare il canto da crooner del nostro. E' un omaggio a Marc Bolan (nel demo originario si intitolava proprio "A Song For Marc"), ma le "Femme fatales emerged from shadows" riportano direttamente al Lou Reed di "Velvet Underground & Nico". Porta invece la firma di Ron Davies l’unica cover del disco, "It Ain't Easy", sorta di space-country con un ritornello quasi gospel. A spezzare questo clima trasognato da musical anni Trenta provvedono un paio di scorribande proto-punk lanciate a velocità forsennata dai Ragni Marziani: "Hang On To Yourself", che per ammissione degli stessi Sex Pistols ispirerà "God Save The Queen", e "Suffragette City", inno alle prostitute con tanto di esclamazione post-orgasmica ("Ohhh, wham bam thank you ma'am!"), che farà da colonna sonora alle pantomime sessuali di Bowie e Ronson sul palco dello Ziggy Stardust Tour.
Divenuto ormai "Star", Ziggy può finalmente esser celebrato dal riff immortale della title track: la chitarra gracchiante di Ronson sottolinea la storia della stella che "strabuzzava gli occhi e agitava la chioma come alcuni gatti giapponesi", ma che è finita in pasto a un'orda di fan-carnefici: "Facendo l'amore col suo ego Ziggy fu risucchiato nella sua mente/ come un messia lebbroso/ Quando i ragazzi l'hanno ucciso, ho dovuto sciogliere il gruppo". Bowie si traveste da cantastorie appassionato, ma in realtà è dietro le quinte, a muovere i fili della sua creatura con aristocratico sarcasmo. Proprio come farà un anno dopo, quando, teschio di Amleto in mano, sceneggerà le gesta del suo "Cracked Actor" hollywoodiano in "Aladdin Sane". La conclusione naturale del disco non può che essere un "suicidio del rock and roll", consumato nel più teatrale dei modi, con una sigaretta in bocca ("Time takes a cigarette, puts it in your mouth") e implorando un ultimo gesto d'affetto ("Gimme your hands, cause you're wonderful"), che Ziggy mimerà negli show dal vivo andando incontro al pubblico. Gli Spiders From Mars allestiscono un altro terrificante crescendo, sfondo ideale per il canto allucinato e nevrastenico di Bowie. Sceneggiata da cabaret brechtiano, "Rock And Roll Suicide" è il commiato del disco e il brano con cui, il 4 luglio 1973, nel corso di un concerto all'Hammersmith Odeon di Londra, Bowie annuncerà la morte di Ziggy, tra le lacrime dei fan. I "dudes" resteranno a galla ancora per un po' (a loro Bowie dedicherà anche l'inno generazionale "All The Young Dudes", affidato ai Mott The Hoople), lo stesso Bowie si rifarà il trucco per un altro paio di dischi in quello stile (ottimo soprattutto "Aladdin Sane"), ma l'epopea glam si dissolverà rapidamente nella polvere di stelle del suo eroe.
Un paio di curiosità da segnalare: la copertina del disco ritrae Bowie con acconciatura stile Greta Garbo in una piovosa Heddon Street, a pochi metri da Regent Street, nel cuore di Londra; nella versione rimasterizzata su cd sono stati inclusi cinque bonus: "John I'm Only Dancing" e "Velvet Goldmine" (due eccellenti B side di 45 giri), l'inedita "Sweet Head" e i due demo di "Ziggy Stardust" e "Lady Stardust".
Irrimediabilmente datato, ma al tempo stesso foriero di tanto rock a venire, il melò di Ziggy Stardust abbatte gli sterili confini tra cultura "alta" e "bassa". Perché Bowie - come ha detto lui stesso - "è insieme Nijinsky e Woolworth". Chiunque negli anni abbia affrontato il rapporto tra performer e pubblico ha dovuto fare i conti con questo alieno in calzamaglia. "Era una creatura nata per essere idolatrata dai fan — rivelerà Bowie - la utilizzai servendomi dei semplici canoni del rock'n'roll". Un prodotto di marketing, insomma, ma studiato fin nei minimi dettagli. Come un'opera d'arte.
Per dirla con le parole di Bowie, "pensavamo d'essere esploratori d'avanguardia, rappresentanti d'una forma embrionica di post-modernismo". Un'arte "totale", in cui la musica si sposa con il teatro, il music-hall, il mimo, il cinema, il fumetto, le arti visive, ma senza mai perdere di vista l'obiettivo finale: la celebrità. "Diventerò famoso" aveva giurato lo stesso Bowie prima della pubblicazione di "Ziggy Stardust". Chi lo definisce "un disco commerciale", dunque, non si sbaglia. Si sbaglia solo quando pensa che arte e commercio non siano compatibili. Un abbaglio che diventa colossale quando si pronuncia il nome di David Bowie. (Ondarock)
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martedì 3 marzo 2009

Pete Molinari - A Virtual Landslide

A Virtual Landslide 

Music Research Engine

Il Voto Di Pierolupo: 4/5

http://www.myspace.com/petemolinari



- I miei hanno avuto nove figli. In casa ci pioveva dentro e il terreno intorno non era più grande d’un campo da baseball. Così ho deciso che potevo cavarmela da solo, anche per dare agli altri, alle mie sorelle, più possibilità. -
- Nessun fratello? -
- Uno, fino a undici anni. Ma ha beccato qualcosa ed è morto. Polio, credo -
- Alcune di quelle sorelle dovevano essere più grandi di te, giusto? -
- Già. Ma non hanno l’avventura nel sangue come ce l’ho io -
- Cristo, ragazzo, persino quell’affare che porti a tracolla sembra più grande di te -
- Vede, io non ho altro che questi vestiti e questo berretto. Le scarpe hanno la suola bucata. Ma finché avrò la mia chitarra, avrò sempre un posto dove andare -
- Sei un musicista, figliolo? -
- Si, signore. Il migliore che si sia mai sentito, dalla California all’isola di New York. Il mio sogno è suonare alla radio, sa quella stazione? WMS Grand Ole Opry., loro pagano bene. Ma prima devo incidere un disco. Voglio conoscere tutti i più grandi: Jimmie Rodgers, Gene Autry, Leadbelly, la Carter Family… -
- Figliolo, ma lo sai in che anno siamo? -
- Ma è ovvio, signore, nel 1934! -
Questo, grossomodo, l' immaginario proemio, tipo “I’m Not There” de’ noantri, al viaggio “eneico” intrapreso da Pete Molinari per ricongiungersi con la sua patria ideale. Dai prati erbosi e irrorati di pioggia del Kent ai vagoni merci sbrecciati e inondati di polvere nel mid-west degli Stati Uniti. Lui è come te lo immagini: piccolo e scuro, il viso e i capelli che ne tradiscono l’origine italo-egizia-maltese, un cappello di velluto a coste e una giacca a quadretti fini, un vero folksinger degli anni 30, insomma. Uno che a dispetto dei suoi 22 anni sembra aver deciso di ignorare recisamente quel cavo dell’alimentazione rimasto a penzoloni sul palco di Newport, il punk delle campagne almeno quanto i sincretismi dell’era elettronica. Neanche a parlarne.
Il suo è un immaginario dell’apres, del prima, di quando Dylan era solo un ragazzino dalla fervida immaginazione che ascoltava 78 giri seduto sul letto in camera sua, a Duluth, nel Minnesota, quando nel Village circolavano ancora le copie ciclostilate del “Voice” di Norman Mailer, quando il cervello di Woody Guthrie non sapeva di essere divorato dalla “Corea”, quando di Hank Williams ce n’era uno soltanto. Questa è la rosa dei venti musicali che spirano in “A Virtual Landslide”: a volte suona come un incrocio fra il primo Bob Dylan e John Denver (il valzer da festa del raccolto di “Dear Angelina”, “Sweet Louise”, cui dona oltremodo l’avverbio “absolutely”, l’elegiaca “Look What I Made Out Of My Head”), altre come un Hank Williams che sgranocchia pesche noci anziché antidolorifici (“Oh So Lonesome For You”, “God Damn Lonesome Blues”, l’aggettivo “lonesome”, non a caso, c’è e si sente, “Hallelujia Blues”); qua sembra un Leadbelly con le paturnie di Neil Young (“A Virtual Landslide”), là un Woody Guthrie scioltonell’ugola trasognata e fiabesca di Donovan (la marchin’song “Lest We Forget”); mentre il rock’a’billy di “I Came Out Of The Wilderness” e “Adelaine” sembrerebbe perfetto per il “Cosmo”, il locale di East St. Louis dove Chuck Berry intratteneva un pubblico entusiasta di neri suonando musica “bianca”.
Tre quarti d’ora di canzoni splendide per il piccolo “hobo” che si cela dentro ognuno di noi. L’avesse inciso, davvero, negli anni Cinquanta sarebbe un disco da 9. (Ondarock)

Tracklist
1 I Came Out Of The Wilderness
2 Oh So Lonesome For You
3 Adelaine
4 One Stolen Moments
5 There She Stills Remains
6 Halleluja Blues
7 Look What I Made Out Of My Head Ma
8 God Damn Lonesome Blues
9 I Don't Like The Man I Am
10 Sweet Louise
11 Dear Angelina
12 Lest We Forget
13 A Virtual Landslide (bonus track)
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lunedì 2 marzo 2009

U2 - No Line Of The Horizon

No Line On The Horizon

Music Research Engine

http://www.myspace.com/u2

Il voto di Pierolupo: 4/5

Cos'era lecito chiedere, cos'era lecito aspettarsi oggi dagli U2? I quattro ex ragazzi d'Irlanda erano finiti nelle sabbie mobili di una crisi - musicale, certo non di vendite - profonda: crisi di identità ("Pop"), di ispirazione ("All That You Can Leave Behind"), crisi addirittura come musicisti tout court ("How To Dismantle An Atomic Bomb"). Grossi problemi di forma e sostanza, laddove la prima era quella di una arena-band totalmente priva di stimoli su disco, con una vena melodica e una ricerca sonora divenuta talmente annacquata e didascalica, e la seconda quella di un leader maximo che aveva rotto la coesione e l'essenza della band, creandosi un'immagine e un ruolo assai distanti dalla musica. I cinque anni di silenzio antecedenti l'ultima nuova uscita sono sintomo di cosa? Lavoro, apatia, mero disinteresse?
Per rispondere agli interrogativi posti occorre premettere una considerazione semplice semplice: il trentennale degli U2 non può non risentire della perdita di smalto, di brillantezza, di irriverenza, insomma, della bruciante gioventù che aveva fomentato i loro cuori. "No Line On The Horizon" non può suonare come "War" o come "Acthung Baby" per ragioni strettamente fisiologiche ancor prima che musicali. Quel che era lecito chiedere a questo nuovo album era quantomeno che si smettesse di tirar fuori il paravento di un - impossibile - ritorno agli antichi fasti, si prendesse coscienza dei propri mezzi attuali e si iniettasse una gran dose di lavoro.
Fortunatamente, il primo elemento a risaltare chiaro, lapalissiano, una volta terminato l'ascolto di "No Line On The Horizon", è proprio la quantità - nonché la qualità - del lavoro impiegato nella sua costruzione. La sapiente cura con cui vengono cesellati i brani, i minori quanto quelli portanti, è tanto palese quanto la valenza delle scelte di produzione. La coppia d'esperienza Eno/Lanois porta un suono sì lambiccato ma capace di colorire adeguatamente i brani, nonché perfetto nel rinsaldarne l'ossatura. Quello che viene fuori è un disco di mezzi toni, di sfumature, di ampio respiro e grigio come la sua copertina, in cui tutto ciò che sono stati/hanno pensato gli U2 concima il loro presente.
Le tastiere liquide che aprono "Magnificent" fanno da anteprima a un bel tuffo nel passato, frutto della chitarra di The Edge che ritrova epiche ormai antiche su cui Bono si fa raffinato interprete, con la complicità di arabeschi e di una melodia cristallina. Un brano di bellezza immediata e di classica maturità. Altrove il trait d'union col passato si fa più labile: come in "Moment Of Surrender", un lungo gospel ricco di pathos, per organo, archi e beat elettronici, o come l'evocativa distesa "Fez-Being Born", in cui la melodia prende la linea del racconto per immagini, sostituendola alla logica strofa-inciso.
Il capolavoro di questo modus operandi, il brano meglio rappresentativo del nuovo corso, si chiama "Unknown Caller". Trattasi di uno splendido momento corale, in cui chitarra e sezione ritmica si limitano a incorniciare il lavoro di voci fino a quando viene lasciato spazio a un intensissimo solo di The Edge di rara profondità.
A questo punto sarà evidente che la sfacciataggine del singolo "Get On Your Boots" non è che un aspetto minore. Piazzato a centro album, quest'ammiccante funkettino è, con le compari "I'll Go Crazy..." e "Stand Up Comedy", solo un momento di libertà ("Hey sexy boots, I don’t want to talk about the wars between the nations"), di rock'n'roll in senso stretto - non a caso sono gli unici tre pezzi non firmati anche dai produttori - che, per quanto sarà inviso a parecchi fan, spezza senza per questo creare grossi cali di qualità. Perché, alla fin fine, il valore di "No Line On The Horizon" trova la sua conferma proprio nei numeri base, come la solida e potente "Breathe" o come il crescendo della title track. Brani che mantengono la giusta rotta nell'attesa dei momenti più aulici, tra cui non può non citarsi la deliziosa "Cedars Of Lebanon", suadente ballata sottovoce che chiude il disco con il miglior testo del lotto (testi che, ad onor del vero, globalmente non brillano).
"No Line On The Horizon" segna il ritorno degli U2 alla musica, senza che per questo si debba parlare di grande stile. Lo stile è piuttosto finalmente consapevole, finalmente maturo, finalmente faticato, i pezzi sono scritti e arrangiati con classe e applicazione se non passione, in maniera tale da superare i limiti d'età. Il risultato complessivo riporta ai tempi di "Zooropa" e, detto francamente, si tratta di un mezzo miracolo. (Ondarock)

Tracklist
1. No Line On The Horizon
2. Magnificent
3. Moment of Surrender
4. Unknown Caller
5. I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight
6. Get On Your Boots
7. Stand Up Comedy
8. Fez – Being Born
9. White As Snow
10. Breathe
11. Cedars Of Lebanon





martedì 17 febbraio 2009

Franco Battiato - Fleurs 2

Fleurs 2

Music Research Engine

http://www.myspace.com/francobattiato

Il Voto Di Pierolupo: 4/5

Sono in difficoltà, lo confesso. E mi imbarazza dover mettere le mani avanti con una excusatio non petita, e non dovuta. Ma bisogna farlo. Al di là degli ottimi rapporti personali con Franco Battiato, risalenti a una frequentazione iniziata nei primi anni Ottanta (quando, da quasi-giovane ufficio stampa della EMI, mi spesi con entusiasmo e convinzione su “L’era del cinghiale bianco”), e al di là della stima professionale per l’artista (verificabile anche qui su Rockol: vedere le mie recensioni a “Fleurs 3”, “La convenzione”, “Le stagioni del nostro amore”), ero ansioso di ascoltare questo “Fleurs 2”, con cui Battiato ritorna sul luogo del delitto (cosa che aveva assicurato di non voler fare all’uscita di “Fleurs 3”, quando aveva annunciato che quello sarebbe stato il suo ultimo album di cover). Lo fa a suo modo, paradossalmente completando una trilogia con il “secondo” album della serie - iniziata con il primo e proseguita con il terzo.
Ero, comunque, positivamente prevenuto, dato che i primi due “Fleurs” m’erano piaciuti, a tratti anche molto piaciuti. E invece, “Fleurs 2” nel complesso mi delude. Facciamo pure la tara alle aspettative, nel senso che m’aspettavo molto, e un tantino di insoddisfazione a volte è inevitabile, quando ci si aspetta molto - cosa che, trattandosi di Battiato, è lecita e quasi doverosa. Consideriamo pure che il brano di apertura del disco - l’inedita “Tutto l’universo obbedisce all’amore”, cantata con Carmen Consoli - offre un primo impatto piuttosto debole, se si eccettuano alcuni felici passaggi del testo (nella vita in due “bisogna muoversi come ospiti, pieni di premure, con delicata attenzione”). Non sembra, a me almeno, un episodio memorabile nell’ampio canzoniere di Battiato. Ma il secondo pezzo, rilettura dolente e composta della splendida “Era d’estate” di Sergio Endrigo (1963), mi ha fatto invece ben sperare: sembra uscito - e forse lo è - dalle registrazioni di “Fleurs 1”, dove già figuravano due canzoni del cantautore di Pola (“Aria di neve” e “Te lo leggo negli occhi”). Voce, pianoforte e archi discreti per un prezioso gioiello di tre minuti.
La terza traccia, “E più ti amo”, merita un po’ di storiografia - giusto per rimediare alla sciatteria con cui è stata descritta dai miei happy few colleghi convocati a fine ottobre a Parigi per la presentazione in anteprima del disco. “E più ti amo” è una canzone del francese Alain Barrière, “Plus je t’entends”, che l’interprete originario portò anche nella classifica italiana fra il settembre e il novembre del 1964, attraverso un testo nella nostra lingua scritto da Gino Paoli. Franco Battiato l’aveva già incisa, nel 1965: era la seconda di due canzoni da lui registrate per i 45 giri allegati a un settimanale di enigmistica, “Nuova Enigmistica Tascabile”, pubblicato dalla Corrado Tedeschi Editore. All’epoca Battiato, da poco “sbarcato” a Milano dalla natìa Sicilia, sbarcava il lunario anche prestando la voce a registrazioni poco prestigiose. Il 45 giri con “E più ti amo” nell’esecuzione di Francesco Battiato col complesso degli Enigmisti fu allegato al numero 531 della rivista, datato 27 marzo (sull’altro lato c’era “Prima o poi”, una canzone di Remo Germani nell’esecuzione di Ezio de Gradi). Ma questo 45 giri non è, come hanno scritto gli illustri colleghi, il primo disco registrato da Battiato per la NET (Nuova Enigmistica Tascabile); il primo è invece “L’amore è partito”, che uscì il 20 febbraio dello stesso 1965: la canzone era stata portata in gara al Festival di Sanremo dal suo autore, Beppe Cardile, in doppia esecuzione con Anita Harris (cantante inglese, del Somerset, che avrà il suo maggior successo nel 1967 con “Just loving you”, ma che è più ricordata per un suo servizio di nudo apparso sul mensile “Mayfair” nell’ottobre dello stesso anno - nello stesso numero c’era anche un servizio con Raquel Welch). La versione Battiato di “L’amore è partito” era accoppiata su quel 45 giri con l’esecuzione di “E’ la fine” (canzone originariamente di Ricky Gianco) da parte di Dani Andress.
Mi sono allontanato dal punto, lo so. Torniamo a “E più ti amo” nella versione inclusa in “Fleurs 2”: già non era una gran canzone in originale francese (molto meglio, nel genere e nell’epoca, la “J’entends siffler le train” di Richard Anthony, inclusa peraltro in “Fleurs 1”), ma il testo - ricordo, di Gino Paoli - è di una banalità esasperante. Non è colpa di Battiato - il testo, dico - ma, insomma, la canzone l’ha scelta lui, e in questo disco è un punto debole - anche perché l’arrangiamento e l’esecuzione non sono propriamente brillanti.
Curiosa, per chi non conosce gli esordi di Battiato, anche l’inclusione di “It’s five o’ clock”. E’ un vecchio 45 giri (1970) degli Aphrodite’s Child di Vangelis: il loro sesto in inglese (nel mezzo c’è la sanremese “Lontano dagli occhi” di Sergio Endrigo, cantata in italiano). Battiato aveva già rifatto il primo grande successo del trio greco - “Rain and tears” - col titolo “Lacrime e pioggia”, su testo di Vito Pallavicini; la sua cover dell’epoca non era mai uscita su disco ufficiale, ma era inclusa nell’antologia uscita nel 1971 nella collana discografica “Superstar” della Curcio Editore. Tornando qui a misurarsi con gli Aphrodite’s Child, Battiato allestisce una versione meno “Procol Harum” dell’originaria, caratterizzata dalla pronuncia inglese iperscolastica che, se è di grande effetto in certi pastiches tipo “Cuccuruccuccu paloma”, mostra la corda se applicata a un’intera canzone (vedi la “Ruby Tuesday” di “Fleurs 1”): e senza far paragoni con la voce fuoriserie di Demis Roussos. Che Dio mi perdoni l’insolenza: ma la “It’s five o’ clock” di questo disco fa pensare a un pianobarista che la canti su un file midi. E non è detto - e non dico - che non fosse proprio questo il risultato che Battiato aveva in mente di ottenere. Nei cori si sente una voce che potrebbe essere quella di Sepideh Raissadat, la stessa del featuring in “Il venait d’avoir 18 ans” di cui diremo poi (non posso confermare l’impressione perché non dispongo, mentre scrivo, del libretto del Cd).
Altra atmosfera in “Del suo veloce volo”: è una cover, voci e pianoforte, di una canzone di Antony and the Johnson, “Frankenstein”: non cercatela negli album del musicista newyorchese, era la facciata B di un singolo. Chissà se Battiato l’ha scelta perché il nome Frankenstein gli ha ricordato il vecchio sodale Gianni Sassi - che usava il nome del mostro come pseudonimo. Comunque il risultato della rilettura è interessante, grazie anche alla partecipazione - con una frase cantata in italiano (!) e alcuni vocalizzi - proprio di Antony. Il testo, inquietante e diaristico, non ha quasi nulla a che vedere, se non le parole “la visione... dell’amore”, con quello originario inglese del brano.
Se l’inglese di Battiato è scolastico, il francese non lo è di meno: la pronuncia delle parole di “Et maintenant” (come quella della canzone di Dalida che seguirà dopo tre brani) fa arricciare il naso, e rispetto alla versione originaria di Gilbert Bécaud la cover di Battiato, rinunciandone all’elemento più caratterizzante - l’incalzante tempo di bolero, solo citato sul finale dal pianoforte - perde (consapevolmente) in drammaticità, senza però guadagnarne in intensità. L’episodio forse più inatteso di “Fleurs 2” è “Sitting on the dock of the bay” di Otis Redding. Una canzone-simbolo, anche perché è il più grande successo del soulman di Dawson ed uscì postuma nell’anno dopo la sua morte (1968) essendo stata registrata tre giorni prima del tragico incidente aereo sul lago Monona. A parte la faccenda della pronuncia, il canto di Battiato è lontanissimo dal soul - il che potrebbe anche essere una scelta stilistica - ma l’alternanza della sua voce con quella ben più calda di Anne Ducros, giovane cantante jazz francese (che la canzone di Redding l’ha già inclusa nel suo album del 2007, “Urban tribe”, insieme ad altri classici pop come “Over the rainbow” e “Sexy Sadie”) squilibra l’ascolto e penalizza il risultato finale.
Battiato torna ad atmosfere più consone (e anche più prevedibili e meno sorprendenti, d’accordo) con “Il Carmelo di Echt”, un rarefatto brano firmato da Juri Camisasca, registrato dall’autore nel suo disco omonimo del 1991, e già inciso da Giuni Russo (in una versione di studio del 1999, pubblicata però solo lo scorso anno nel triplo antologico “The complete Giuni Russo”, e in una versione dal vivo nell’album “Signorina Romeo Live”, del 2002). L’esito è suggestivo e quasi mistico, come è richiesto dalla natura stessa della composizione.
Tutt’altra aria in “Il venait d’avoir 18 ans”. La canzone fu uno dei grandi successi di Dalida, che la pubblicò nel 1975. Recentemente è stata inclusa da Patty Pravo nel suo recente album-tributo alla cantante francese, “Spero che ti piaccia... pour toi”, cantata in francese. E benché ne esista un testo italiano, molto fedele all’originale, intitolato “18 anni” e firmato da Roberto Arnaldi (conduttore di Radio Montecarlo), Battiato sceglie di intervenire sul testo francese “girandolo” narrativamente in terza persona - ma scivolando sulla grammatica (“Quand il s’est approché de lui” - e “lui” non va bene, ci voleva “elle” - “aurait donné n’importe quoi pour le séduire” - e qui manca un “elle” prima di “aurait”, e, più avanti, “aurait voulu le retenir”, ancora una volta senza “elle”). Anche qui, l’ingresso di una seconda voce - quella dell’iraniana Sepideh Raissadat - fa svoltare il brano in atmosfere più evocative, più emozionanti. A proposito della Raissadat, della quale i soliti colleghi di cui sopra hanno collettivamente storpiato il cognome in “Raisadat” fidandosi delle informazioni della Universal, va ricordato che la ventisettenne cantante, attualmente residente in Italia dove insegna al DAMS di Bologna, è stata la prima donna iraniana che abbia cantato in duetto in Iran dopo la rivoluzione islamica (nel 2000 ha registrato “Konj-e-Sabouri” con Alì Rostamian e Parviz Meshkatian). E a proposito di Dalida, pochi sanno che Battiato aveva già ripreso una canzone della franco-egiziana: avvenne nel 1970, quando registrò (senza mai pubblicarla ufficialmente) una cover in italiano di “Darla dirladada” intitolata "La campagna e l'amore".
Curioso che Battiato non abbia voluto una seconda voce ad accompagnarlo nella sua ripresa di “Bridge over troubled water”, il classico di Simon & Garfunkel che intitola l’album omonimo del duo (1970). La versione Battiato, per voce e pianoforte più archi, non riesce a competere col quella di riferimento: che, del resto, è così canonica da non permetterlo (forse sarebbe stato il caso di concedersi maggiore libertà).
“La musica muore” è una canzone scritta da Juri Camisasca e dall’autore pubblicata su singolo nel 1975 (è contenuta nel Cd antologico “La convenzione”, 2003). Si tratta di un recupero giustificato soprattutto da un testo ancora sorprendentemente attuale, la cui interpretazione è qui affidata prima a Battiato poi - più efficacemente - all’autore e interprete originario.
Chiude il disco “L’addio”, di cui Giuni Russo diede un’interpretazione vocalmente irraggiungibile nel suo album “Energie” (1981). Battiato sceglie, inevitabilmente, una cifra interpretativa all’opposto di quella virtuosistica di Giuni: malinconica e rassegnata, diventa quasi un saluto all’amica scomparsa, ed è, nella sua veste scarna e “stripped bare”, il momento forse più emozionante dell’album.
Rileggendo le (fin troppe) parole scritte finora, mi rendo conto che non c’è bisogno del consueto pistolotto finale. Vi sarete fatti un’idea del mio, non entusiastico, parere complessivo sul disco: adesso ascoltatelo e fatevi la vostra. (Rockol)

Tutto l’universo obbedisce all’amore
Rara la vita in due fatta di lievi gesti
e affetti di giornata, consistenti o no,
bisogna muoversi come ospiti pieni di premure
con delicata attenzione per non disturbare...

ed è in certi sguardi
che si vede l’infinito

Stridono le auto come bisonti infuriati,
le strade sono praterie...
accanto a grattacieli assolati,
come possiamo tenere nascosta la nostra intesa

ed è in certi sguardi
che s’intravede l’infinito

Tutto l’universo obbedisce all’amore,
come puoi tenere nascosto un amore.
Ed è così
che ci trattiene nelle sue catene
tutto l’universo obbedisce all’amore

Come possiamo
tenere nascosta la nostra intesa
ed è in certi sguardi
che si nasconde l’infinito

Tutto l’universo obbedisce……………

Era d’estate
Era d’estate e tu eri con me
era d’estate tanto tempo fa
ora per ora noi vivevamo
giorni e notti felici
senza domani

Era d’autunno e tu eri con me
era d’autunno poco tempo fa
ora per ora senza un sorriso
si spegneva l’estate negli occhi tuoi

Io ti guardavo e sognavo una vita tutta con te
ma i sogni belli non si avverano mai

Era d’estate e tu eri con me
era d’estate poco tempo fa
e sul tuo viso lacrime chiare
mi dicevano solo addio

E più ti amo

Più vedo te, più ascolto te, e più ti amo.
ogni parola che dici, t'amo un pò di più;
parole che sono per te sempre le stesse
ed io lo so che parlerai sempre così.

Più vedo te, più ascolto te, e più ti amo
ogni parola che dici, t'amo un pò di più.
Parole che sono per te sempre le stesse
ed io lo so che parlerai sempre così.

Più vedo te, più ascolto te, e più ti amo,
vivo perché tu mi lasci stare vicino a te,
perchè se tu mi dici di no, mi fai morire,
e tu lo sai, la vita sei per me.

E vedo te, e ascolto te, e t'amo sempre
ogni parola che dici t'amo sempre di più.
Parole che sono per me sempre diverse
quando sarà la voce tua che le dirà.

E vedo te, e ascolto te, sempre la stessa
vivo perché tu mi lasci stare vicino a te.
Perchè per me la vita mia non conta niente
è tutto qui quello che ho e lo do a te.

E non dirai, non dirai mai parole uguali
se parlerà la voce tua per me.
E non dirai, non dirai mai parole uguali
se parlerà la voce tua per me.

It's five o' clock
It's five o' clock
and i walk
through the empty streets.
Thoughts fill my head
but then still
no one speaks to me
my mind takes me back
to the years
that have passed me by

It is so hard to believe
that it's me that i see
in the window pane
it is so hard to believe
that all this is the way
that it has to be

It's five o' clock
and i walk
through the empty streets.
The night is my friend
and in him i find sympathy
and so i go back to the years
that have past me by
It is so hard to believe
that it's me that i see
in the window pane
it is so hard to believe
that all this is the way
that it has to be

It's five o' clock
and i walk
through the empty streets.
the night is my friend
and in him i find sympathy.
He gives me day gives me hope
and a little dream too.

Del suo veloce volo
E chissà dove sarai amico
ripensandoti ti rivedo in me
la visione che avevi dell’amore
la tua ironia, e chissà dove sarai

Spesso da ragazzi passavamo insieme
sere inutili e fu in un giorno di
festa per gioco lo so, io lo so
lessi nella tua mano, vidi sulla mano
la tua fine...

E così oggi, dalla mia memoria,
scelgo il meglio della vita
e del suo veloce volo
che finisce come, sempre accade,
troppo presto

Qualcosa un po’ di te
mi è rimasto dentro
indimenticabile per gioco
lo so io lo so
lessi nella tua mano,
vidi sulla mano
la tua fine...

Et maintenant

Et maintenant que vais-je faire
de tout ce temps que sera ma vie
de tous ces gens qui m'indiffèrent
maintenant que tu es partie.
Toutes ces nuite, pourquoi pour qui
et ce matin qui revient pour rien
ce coeur qui bat, pour qui, pour quoi
qui bat trop fort, trop fort.
Et maintenant que vais-je faire
vers quel néant glissera ma vie
tu m'as laissé la terre entière
mais la terre sans toi c'est petit.
Vous, mes amis, soyez gentils
vous savez bien que l'on n'y peut rien
même paris crève d'ennui
toutes ses rues me tuent.

Et maintenant que vais-je faire
je vais en rire pour ne plus pleurer
je vais brûler des nuits entières
au matin je te haïrai
et puis un soir dans mon miroir
je verrai bien la fin du chemin
pas une fleur et pas de pleurs
au moment de l'adieu

Je n'ai vraiment plus rien à faire
je n'ai vraiment plus rien........

Sitting on the dock of the bay
Sitting in the morning sun
i'll be sitting when the evening comes
watching the ships roll in
and i watch 'em roll away again
Sitting on the dock of the bay
watching the tide roll away
sitting on the dock of the bay
wasting time
I left my home in Georgia
headed for the 'frisco bay
i had nothin to live for
and i look like nothing's
gonna come my way
Sitting on the dock of the bay
watching the tide roll away
i'm sitting on the dock of the bay
wasting time
looks like nothing's
gonna change
everything still remains the same
i can't do what ten people
tell me to do
so i guess i'll remain the same

Sitting here resting my bones
and this loneliness won't leave me alone
two thousand miles i roamed
just to make this dock my home
Sitting on the dock of the bay
watching the tide roll away
sitting on the dock of the bay
wasting time

I can't do what ten people
tell me to do
so i guess i'll remain the same

Watching the ships roll in
and i watch 'em roll away again
sitting on the dock of the bay

Il carmelo di Echt

E per vivere in solitudine nella pace e nel silenzio
ai confini della realtà,
mentre ad Auschwitz soffiava forte il vento
e ventilava la pietà,
hai lasciato le cose del mondo,
il pensiero profondo dai voli insondabili,
per una luce che sentivi dentro, le verità invisibili.

Dove sarà Edith Stein?
Dove sarà?

I mattini di maggio riempivano l'aria
i profumi nei chiostri del carmelo di Echt.
Dentro la clausura qualcuno che passava
selezionava gli angeli.
E nel tuo desiderio di cielo una voce nell'aria si udì:
gli ebrei non sono uomini.
E sopra un camion o una motocicletta che sia
ti portarono ad Auschwitz.

Dove sarà Edith Stein?
Dove sarà?

E per vivere in solitudine nella pace e nel silenzio
nel carmelo di Echt.

Il venait d'avoir 18 ans
Il venait d'avoir dix-huit ans
il était beau comme un enfant
fort comme un homme
c'était l'été évidemment
et elle compté en le voyant
ses nuits d'automne
elle mit de l'ordre a ses cheveux
un peu plus de noir sur ses yeux
ça l'a fait rire
quand il s'est approché de lui
aurait donné n'importe quoi
pour le seduire

Il venait d'avoir dix-huit ans
c'était le plus bel argument
de sa victoire
il ne parlait jamais d'amour
il pensait que les mots d'amour
son dérisoires
il lui disait: "j'ai envie de toi"
il avait vu au cinema
"le blé en herbe"
au creux d'un lit improvisé
elle decouvrit émerveillée
un ciel superbe

Il venait d'avoir dix-huit ans
ça le rendait presque insolent de certitude
et pendant qu'il se rhabillait
deja vaincue, elle retrouvait sa solitude
aurait voulu le retenir
pourtant elle le laissé partir
sans faire un geste
il a dit: "c'était pas si mal"
avec la candeur infernale
de sa jeunesse

Il venait d'avoir dix-huit ans
il était beau comme un enfant
fort comme homme
aurait voulu le retenir
pourtant elle le laissé partir
sans faire un geste

Bridge over troubled water

When you’re weary, feeling small,
When tears are in your eyes, I will dry them all;
I’m on your side. When times get rough
And friends just can’t be found,
Like a bridge over troubled water
I will lay me down.
Like a bridge over troubled water
I will lay me down.

When you’re down and out,
When you’re on the street,
When evening falls so hard
I will comfort you.
I’ll take your part.
When darkness comes
And pain is all around,
Like a bridge over troubled water
I will lay me down.
Like a bridge over troubled water
I will lay me down.

Sail on silvergirl, sail on by.
Your time has come to shine.
All your dreams are on their way.
See how they shine.
if you need a friend
I’m sailing right behind.
Like a bridge over troubled water
I will ease your mind.
Like a bridge over troubled water
I will ease your mind.

La musica muore

Sono anni che non cambia niente
tutto è chiuso in un sacco a pelo
con un dito quante macchine ho fermato
quanti stop alle frontiere ho sopportato

Degli Stones amavo Satisfaction
e dei Doors come on baby light my fire
ascoltavo Penny Lane per ore ed ore

Mi ritorna l’eco dei concerti
mi ritorna l’acqua dentro il sacco a pelo
tutt’intorno i fuochi ormai si sono spenti
non resta che un pallido colore
...la musica muore

Parco lambro, Woodstock, l’isola di White.
quanta gente strana ho incontrato per strada
giravo per l’Europa da Londra ad Amsterdam...
on the road again, my generation.

L'addio

Con la fine dell'estate
come in un romanzo l'eroina
visse veramente prigioniera.
Con te dietro la finestra guardavamo
le rondini sfrecciare in alto in verticale
ogni tanto un aquilone
nell'aria curva dava obliquità a quel tempo
che lascia andare via, che lascia andare via.
Gli idrogeni nel mare dell'oblio.

Da una crepa sulla porta ti spiavo nella stanza
un profumo invase l'anima
e una luce prese posto sulla cima delle palme.
Con te dietro la finestra guardavamo
le rondini sfrecciare in alto in verticale
lungo strade di campagna
stavamo bene
per orgoglio non dovevi
lasciarmi andare via, lasciarmi andare via.

Ogni tanto un aquilone
nell'aria curva dava obliquità a quel tempo
che lascia andare via, che lascia andare via
gli idrogeni nel mare dell'oblio.

Quando me ne andai di casa
finsi un'allegria ridicola
dei ragazzi uscivano da scuola.
Dietro alla stazione sopra una corriera.
L'addio

Tracklist
1 Tutto l’universo obbedisce all’amore (inedito con Carmen Consoli)
2 Era d’estate (di Sergio Endrigo)
3 E più ti amo (di Alain Barriere)
4 It’s five o’clock (degli Aphrodite’s Child)
5 Del suo veloce volo (di e con Antony and the Johnson)
6 Et maintenant (di Gilbert Becaud)
7 (Sittin’ on) the dock of the bay (di Otis Redding con Anne Ducros)
8 Il Carmelo di Echt (di Juri Camisasca)
9 Il venait d’avoir 18 ans (di Dalida con Sepideh Raissadat)
10 Bridge over troubled water (di Simon & Garfunkel)
11 La musica muore (di e con Juri Camisasca)
12 L’addio (scritta da Franco Battiato per Giuni Russo)

T (Thomas Walter/Herzfeld)) - Bau







http://www.myspace.com/thrzfld

Il Voto Di Pierolupo: 4/5

Tracklist
1. #1
2. Roof top
3. Love recorder
4. #4
5. Back in '94
6. A gun in my hat
7. #7
8. Magazines
9. Bootsy
10. #10
11. Sick & sad
12. The carpenter
13. Modern love
[youtube=http://www.youtube.com/v/qfzxUavBnec&hl=it&fs=1]

sabato 14 febbraio 2009

Gianni Zanasi - Non Pensarci

Non pensarci foto 0
Il Voto Di Pierolupo: 4/5

Un film di Gianni Zanasi. Con Valerio Mastandrea, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Caterina Murino, Paolo Briguglia, Dino Abbrescia, Teco Celio, Gisella Burinato, Paolo Sassanelli, Luciano Scarpa, Natalino Balasso. Genere Commedia, colore 109 minuti. - Produzione Italia 2007 - Distribuzione 01 Distribution.
Un chitarrista rock di 35 anni (Valerio Mastandrea), trasferitosi a Roma per sfondare, sbarca il lunario tra un concerto e l'altro sognando di incidere un disco. Ma i finanziamenti non arrivano e la crisi creativa incombe. La scoperta del tradimento della fidanzata è la goccia che fa traboccare il vaso e lo convince a prendersi una pausa di riflessione. Quale luogo migliore della natìa Rimini, da dove manca da quattro anni? Accolto a braccia aperte dagli apprensivi genitori, il nostro si imbatte però in un quadretto familiare tutt'altro che idilliaco: il padre, in pensione a forza per problemi di salute, non pensa ad altro che al golf lasciando all'esaurito primogenito (Giuseppe Battiston) la gestione dell'azienda di famiglia, che produce ciliegie sciroppate; la madre aggira la depressione frequentando discutibili corsi di autostima e fiducia nel prossimo; la sorella (Anita Caprioli) molla l'università per lavorare nel delfinario. Ma tra crisi di nervi, liti, frustrazioni e rivelazioni scottanti, la solidarietà familiare può ancora riservare qualche sorpresa.
Non pensarci di Gianni Zanasi fa l'effetto di un bicchiere d'acqua fresca in una giornata estiva. Ambientazione e trama non sono certo originali e rimandano a tanto cinema di insoddisfazioni e nevrosi familiari, per non parlare della crisi esistenziale del protagonista, già vista in mille declinazioni. Eppure due elementi riscattano il film dalla banalità e dalla "carineria" per farne un'opera a tratti ingenua ma sincera, divertente senza spocchiose ambizioni di spaccato sociale: il primo è la semplicità puntuale con cui è ritratta la vita di provincia, più vera ma perennemente in bilico sul baratro della noia e della disperazione; il secondo è l'ottima prova degli attori, dal tenero nevrotico Battiston allo scombinato Mastandrea, che non ha ancora perso il gusto di ribellarsi di Tutti giù per terra. (Mymovies)

[youtube=http://www.youtube.com/v/U6RfizWCrYU&hl=it&fs=1]

Maria Sole Tognazzi - L'uomo Che Ama

Locandina L'uomo che ama

Il Voto Di Pierolupo: 4/5

Un film di Maria Sole Tognazzi. Con Pierfrancesco Favino, Xenia Rappoport, Monica Bellucci, Piera Degli Esposti, Marisa Paredes, Fausto Maria Sciarappa, Michele Alhaique, Arnaldo Ninchi, Glen Blackhall. Genere Commedia, colore 102 minuti. - Produzione Italia 2008. - Distribuzione Medusa

Roberto ama Sara. La ama la notte, la ama col sole, la ama lungo il fiume, dentro una macchina, sotto e sopra le lenzuola. Dopo avere interrotto una storia d'amore e di convivenza, a un passo dal matrimonio e dalla paternità, Roberto ha voglia di ricominciare e di sgombrare il cassetto del passato. Sara invece resiste al suo amore esagerato fino a trasformare un telefono spento in un silenzio assordante. Roberto indaga e scopre il tradimento. Sara ha fatto l'amore con l'uomo sbagliato, coniugato e amato più di lui. Disperato, Roberto la respinge e la pretende, la disprezza apertamente e la ama ostinatamente. Tra notti insonni, appostamenti notturni e passeggiate appannate, l'uomo che ama esaurisce gli eccessi e impara l'amore.
Di che cosa parla Maria Sole Tognazzi quando parla d'amore? Parla di uno sguardo (maschile) attraversato dalla forza desiderante dei corpi e dal potere di attrazione della carne. Parla di un cinema del separarsi e del soffrirsi addosso per un amore che non ha più tempo, un amore in scadenza. Attraversando Torino, i suoi marciapiedi e i suoi portici, L'uomo che ama racconta la fatica di una storia che finisce, la pena del distacco e l'inevitabile autocombustione di un sentimento. La regista procede nel pedinamento psicologico del suo personaggio, il Roberto ossessionato (e ossessionante) di Pierfrancesco Favino votato all'eccesso dal cromosoma melodrammatico. Resta incollata a lui, senza perderlo mai di vista, seguendolo anche negli interstizi insignificanti e vuoti della sua giornata (fare la doccia, preparare il caffé, camminare per strada, guardare attraverso una finestra), dove si manifesta l'intensità dell'amore e dove poi si manifesterà la sua fine. La messa in scena della passione tra Sara e Roberto, che ha cessato di amare un'altra donna e di svegliarsi all' "alba" con lei, prepara la propria scomparsa e mima la propria rottura dentro un cinema di soli corpi, cuori e lacrime. Nel duetto Roberto parte svantaggiato perché, folgorato da Sara al primo incontro, sembra esserne la vittima predestinata. Ma vittima è pure l'Alba senza sorpresa della Bellucci. Perché l'uomo che ama oscilla disperato tra il rimpianto di chi ha cessato di amare e la paura di un amore appena arrivato e svanito in un fragoroso silenzio.
L'amour fou di Favino diventa ridicola ostinazione per una relazione totale e perfetta soltanto nella sua testa. Lo sfondo dell' Uomo che ama è il normale ritratto di una realtà urbana in cui irrompe l'amore eccessivo del protagonista. Lungo il Po scorre un film declinato al maschile e riuscito soltanto a metà perché cerca di riassorbire il dolore piuttosto che capirlo, perché promette qualcosa di profondo nella scrittura e non lo mantiene nel visibile, perché si perde in spiegazioni continue e in storie e strade parallele, che conducono al lago o all'ospedale, perché cerca un equilibrio quasi impossibile tra il sorriso e il dramma, perché crea più attesa di quanto sia in grado di sopportare. Nondimeno, negli occhi di Favino, resta il calore di ciò che è insondabile. Quell'abbandonarsi, senza difese, al mistero del cuore. (Mymovies)
[youtube=http://www.youtube.com/v/EliQqm-p-7M&hl=it&fs=1]

Shearwater - The Snow Leopard EP

The Snow Leopard EP

 


 

Tracklist

1. The Snow Leopard [Album Version] 5:02
2. So Bad 4:55
3. North Col 2:17
4. Henry Lee 5:00
5. Rooks 3:14
6. I Was A Cloud 4:48
7. South Col/The Snow Leopard 5:56

[youtube=http://www.youtube.com/v/3H2sZAHvTNY&hl=it&fs=1]

Musica: Classifica 2008 di Mymusic


1 - Black Mountain - In The Future


2 – David Gilmour – Live in Gdansk


3 - Anathema - Hindsight


4 - Scott Matthew - Scott Matthew


5 - Radiohead - The Best Of


6 - Muse - H.A.A.R.P.


7 - Crosby, Stills, Nash & Young - Deja Vu Live


8 - Baustelle – Amen


9 - Beirut - The Flying Club Cup


10 - Shearwater - Rook


11 - The Corrections - Repeat After Me


12 - Micah P. Hinson - Micah P. Hinson And The Red Empire Orchestra


13 - Coldplay - Viva La Vida Or Death And All His Friends


14 - The Do - A Mouthful


15 - Dr. Dog – Fate


16 - Port O'Brien - All We Could Do Was Sing


17 - Mono In VCF - Mono In VCF


18 - Le Luci Della Centrale Elettrica - Canzoni Da Spiaggia Deturpata


19 - Kim Novak - Luck And Accident


20 - Justice Of The Unicorns - Angels With Uzis


21 - Girls In Hawaii - Plan Your Escape


22 - Islands - Arm's Way


23 - Electric President - Sleep Well


24 - City And Colour - Bring Me Your Love


25 - Devotchka - A Mad & Faithful Telling


Perchè non mi postate le vostre classifiche personali? Le più interessanti saranno pubblicate...

Phyllida Lloyd - Mamma Mia!

Mamma Mia! foto 0

Il Voto Di Pierolupo: 4/5

Un film di Phyllida Lloyd. Con Meryl Streep, Pierce Brosnan, Colin Firth, Stellan Skarsgård, Julie Walters, Dominic Cooper, Amanda Seyfried, Christine Baranski, Nancy Baldwin, Heather Emmanuel, Colin Davis, Rachel McDowall, Ashley Lilley, Ricardo Montez, Mia Soteriou, Enzo Squillino Jr, Chris Jarvis, Hemi Yeroham, George Georgiou, Maria Lopiano, Juan Pablo Di Pace, Norma Atallah, Myra McFadyen, Leonie Hill, Niall Buggy, Jane Foufas, Philip Michael. Genere Commedia, colore 108 minuti. - Produzione USA, Gran Bretagna, Germania 2008. - Distribuzione Universal Pictures

Grecia, 1999. La giovane Sophie ha un sogno: conoscere suo padre e farsi condurre all'altare nell'incantevole isola di Kalokairi. Alla vigilia delle sue nozze con Sky ha scoperto il diario segreto e i segreti del cuore della madre, una figlia dei fiori che praticava il sesso e l'amore ieri, una donna indipendente e piena di vita che gestisce un piccolo hotel sul mare di Afrodite oggi. All'insaputa di Donna, Sophie invita a nozze i suoi potenziali padri: un uomo d'affari, un avventuriero e un banchiere impacciato. Scoperta molto presto la loro presenza sull'isola, Donna li invita "amabilmente" a rimettersi in mare ma niente andrà come previsto. Gli dei in cielo hanno lanciato i dadi e versato amore, tanto amore, nei calici.
A ragione Mamma mia! è ambientato nel Mediterraneo perché l'acqua, nel musical di Phillida Lloyd, è il filtro deformante che veicola gli sguardi dei protagonisti e spuma l'amore fino ai cuori. Non si tratta affatto di un espediente, l'amore impone sempre una nuova nascita, un ritorno nel liquido amniotico che ottunde tutto ciò che è esterno, estraneo, nemico. In quella soglia incantata la Donna di Meryl Streep vorrebbe trattenere il più a lungo possibile la sua Sophie, che al contrario scalpita per salpare e attraversarla. Al di là c'è l'ignoto e il nuovo, c'è un padre e un mondo da scoprire, c'è un'attesa sospesa da corrispondere prima che gli dei facciano i capricci. Mamma mia! è la storia di un'isola "assediata" dai padri e difesa dalle madri, un impasto di sale e sentimenti che trova sullo schermo una dimensione spettacolare, sostenuta da un ritmo incalzante e impreziosita dalle "teatrali" canzoni degli Abba. La straordinaria partitura e i testi dell'irriducibile gruppo svedese interpretano i movimenti ariosi delle coreografie in esterni, raggiungendo una resa d'atmosfera sorprendentemente comunicativa mentre "cantano" il lamento d'amore di "The Winner Takes It All" o la carica liberatoria di "Dancing Queen". La perizia della regia, la dimensione dello sforzo produttivo e l'apporto di un'infinità di esperti assicurerebbero soltanto la buona qualità della confezione se a vivificare il tutto e a imprimere al film quel quid di magia, che lo illumina più del sole della Grecia, non ci fossero gli stupori, la recitazione incantata e la "faccia da musical" di un cast appropriato, equilibrato ed efficace.
Al di là dell'arcobaleno "viaggiano" la dancing Queen di Meryl Streep, che percorre in lungo e in largo la scena tuffandosi in un bagno di musica e di eccentricità coreografica, i padri inconsapevoli e incoscienti di Colin Firth, Stellan Skarsgård e Pierce Brosnan, che pur non avendo confidenza alcuna col genere riescono a trasformare i loro impacci in irresistibili connotazioni psicologiche, e la figlia adorabile di Amanda Seyfried, che coglie col suo volto l'ode alla felicità e il sogno irraggiungibile.
È la natura e la brezza del Mare Nostro a inventare invece l'"artificio" scenografico, salvaguardando la dimensione da favola e la dinamica visiva delle schermaglie sentimentali ("SOS"), degli animosi battibecchi, degli shakespeariani equivoci ("Gimme! Gimme! Gimme!") e delle sonore agnizioni ("Voulez - Vous").
Calato in un tempo precisato, che come i protagonisti deve compiere un passaggio (è il 1999), il musical corale della Lloyd privilegia il ritmo esuberante e trascinante piuttosto che l'arabesco elegante, innescando coi numeri musicali uno scatto di autentica e orecchiabile vitalità. Se il musical è favola, di tutte le favole Mamma mia! è forse la più bella.  (Mymovies)

[youtube=http://www.youtube.com/v/EAf1a3aXEN0&hl=it&fs=1]

Daniele Vicari - Il Passato E' Una Terra Straniera

Locandina Il passato è una terra straniera

Il Voto Di Pierolupo: 4/5

Un film di Daniele Vicari. Con Elio Germano, Michele Riondino, Chiara Caselli, Valentina Lodovini, Daniela Poggi, Marco Baliani, Lorenza Indovina, Maria Jurado, Romina Carrisi, Federico Pacifici, Antonio Gerardi
Drammatico, durata 120 min. - Italia 2008.

Giorgio ha ventidue anni e una vita normale. Studente di legge esemplare e fidanzato annoiato di Giulia, incontra Francesco, baro professionista che gioca pesante con le donne e le carte. Francesco, soccorso da Giorgio durante una rissa, invita lo studente al tavolo da gioco, rivelandogli molto presto i trucchi del mestiere. Diverse partite di poker dopo, i due ragazzi accumulano denaro e frustrazione per quella provincia, Bari, che comincia a sembrargli troppo stretta. Allontanatosi dalla famiglia e trascurati gli esami, Giorgio sviluppa una preoccupante dipendenza da Francesco che lo condurrà a Barcellona e verso un abisso di violenza e perdizione.
Il nuovo film di Daniele Vicari è la trasposizione “quasi fedele” del romanzo omonimo e celebre di Gianrico Carofiglio, magistrato e scrittore barese. I romanzi di Carofiglio abitano un contesto regionale preciso e i suoi personaggi, l'avvocato penalista Guido Guerrieri, il baro Francesco e lo studente Giorgio, diventano inseparabili dal loro ambiente. La localizzazione dei suoi “gialli” sembra inversamente proporzionata all'importanza della ricerca del colpevole: non contano più il “chi”, il “come” e il “perché”, lo scrittore si concentra soprattutto sul “dove”. Un dove, la città e i suoi luoghi, che Vicari non riesce a tradurre. L'occhio del regista si posa su Bari in modo folkloristico per ottenere dalla città caratteristiche di riconoscibilità immediata. Vicari, smarrendo il “corpo della città” sotto la musica incessante e dietro i colori al neon, non è in grado di approcciare quello degli attori, rounders improbabili in attesa di mostrare il loro vero volto.
I giocatori bari (a Bari) di Elio Germano e Michele Riondino non riescono a farsi inghiottire dal dannato destino dei locali di fumo e carte. Del testo di partenza rimane la vicenda, i protagonisti e l'ambientazione. Cambiano gli anni, si aggiungono personaggi e uno stupro, si annulla l'indagine di polizia e ogni presunta ambiguità. Il passato è una terra straniera è fatto di azioni e di gesti, strutturato di momenti topici, costruito con situazioni forti per dare prova di muscoli in un racconto di corruzione morale. Un film sull'identità e sull'incapacità di riconoscersi, sulla necessità di essere altri per essere se stessi, sulla bestialità dell'abuso carnale per sancire il proprio corpo e la propria diversità. Un film che non ha niente di rivelatorio da esprimere nei modi e nella sostanza e in cui tutto è statico ed evidente. Elio Germano, che sia studente o giocatore, sembra essere arrivato lì per caso, perfetto nel suo anonimato e nella sua totale incapacità di dominare il film con il suo corpo di attore. Un film giocato tutto su di lui: è sempre presente sulla scena e il passato è raccontato e trasfigurato attraverso i suoi occhi, buchi neri che innescano la memoria in una ricerca affannosa degli eventi accaduti e della propria identità. (Mymovies)

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John Carney - Once

Once foto 0

Il Voto Di Pierolupo: 4/5

Un film di John Carney. Con Glen Hansard, Markéta Irglová, Bill Hodnett, Danuse Ktrestova. Genere Drammatico, colore 91 minuti. - Produzione Irlanda 2006. - Distribuzione Sacher

Sulla strada di Dublino un busker rivendica l'amore perduto cantando canzoni a una lei fedifraga e distante, sognando il contratto discografico e una vita a Londra. Sulla stessa strada incontra una giovane immigrata ceca, instancabile lavoratrice, ragazza madre responsabile e pianista di talento. Uniti dalla passione per la musica i due sconosciuti iniziano a raccontarsi e aprirsi fino a toccarsi (nell'anima) attraverso i testi delle canzoni.
Alcune storie d'amore sono destinate a rimanere intatte, inviolate, come se un solo bacio avesse la capacità di distruggere quella promessa che rappresenterebbe la purezza assoluta se lasciata in sospeso in eterno.
Once mette in scena l'amore illibato tra due persone che attraverso la musica si raccontano. Giocando di sottrazione, il regista irlandese John Carney confeziona una commedia semplice e piena di sentimento in cui narra di sé, della scena musicale della città che gli ha dato i natali. Dentro a un musical atipico due solitudini si incontrano per caso e per desiderio decidono di convertire il loro talento in un disco che rimanga nel tempo, oltre il tempo.
Girato con piglio documentaristico (la camera a mano sembra riprendere senza voler disturbare, le luci di scena sono limitate al minimo, il cast è formato da attori non professionisti), Once segue passo passo le fasi di creazione dei brani dell'improvvisato duo fino alla registrazione finale, coinvolgendo lo spettatore in una storia che nasce grazie alla musica e si consuma esclusivamente attraverso le canzoni. Tutto quello che non viene detto a parole viene espresso attraverso le note.
Dublino fa da sfondo con il suo cielo grigio e i suoi candidi paesaggi, con i suoi immigrati e i suoi circoli e regala alla trama una quiete necessaria allo svolgimento e compimento della relazione. L'eloquente e silente sguardo finale lascia in sospeso i destini dei due casti amanti. (Mymovies)
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Woody Allen - Vicky Cristina Barcelona

Vicky Cristina Barcelona foto 0 

Il Voto Di Pierolupo: 4/5

Un film di Woody Allen. Con Scarlett Johansson, Penelope Cruz, Javier Bardem, Rebecca Hall, Patricia Clarkson, Kevin Dunn, Chris Messina, Julio Perillán, Manel Barceló, Josep Maria Domènech.
Commedia, durata 90 min. - USA, Spagna 2008. - Medusa

Vicky e Cristina sono buone amiche anche se hanno visioni completamente differenti dell'amore. Vicky è fedele all'uomo che sta per sposare e ancorata ai propri principi. Cristina invece è disinibita e continuamente alla ricerca di una passione amorosa che la sconvolga. Vicky riceve da due amici di famiglia l'offerta di trascorrere una vacanza in casa loro a Barcellona durante l'estate. La ragazza pensa cosi' di poter approfondire la propria conoscenza della cultura catalana sulla quale sta lavorando per un master. Propone a Cristina di accompagnarla, così forse potrà superare meglio il trauma di una storia finita di recente. Una sera, in una galleria d'arte, Cristina incrocia lo sguardo di un uomo estremamente attraente. Si tratta del pittore Juan Antonio, finito di recente su giornali e televisione per un furibondo litigio con la moglie Maria Elena nel corso del quale uno dei due ha cercato di accoltellare l'altro. Le due ragazze lo ritroveranno nel locale in cui cenano. Anzi, sarà lui ad avvicinarsi al loro tavolo con una proposta molto chiara: partire subito con il suo aereo privato per recarsi in un hotel ad Oviedo dove potranno visitare il luogo, apprezzarne tradizioni e cultura (anche culinaria) e fare entrambe l'amore con lui. Se Cristina non ha alcun ripensamento nell'accettare la proposta, le regole che Vicky si è imposta la spingono a rifiutare in modo seccato. Cristina l'avrà vinta ma l'amica vuole avere la certezza di camere separate e ottiene rassicurazioni in proposito.
Dopo una giornata trascorsa con una prima visita della città, nel corso della quale Juan Antonio dichiara l'amore che ancora prova per la moglie benché sia consapevole della loro impossibilità a convivere, giunge finalmente la notte con l'invito più intrigante. Vicky torna a respingere l'offerta mentre Cristina accetta. Ma…
Se potete non fatevi raccontare (o non leggete) nulla su come prosegue la vicenda. Finireste con il togliervi il piacere della scoperta di uno dei più riusciti ed ironici film dell'ultimo Allen. Perché è vero che Woody ha dei temi e delle scelte narrative su cui periodicamente ritorna (per questo i detrattori lo accusano di ripetitività) ma quando, come in questa occasione, sa farlo con un approccio totalmente nuovo allora è davvero festa in sala. Perché questa volta la scelta dell'Io narrante è funzionale al modo con cui vengono guardati (e presentati) i personaggi. Osservate, a titolo di esempio, l'entrata in scena di Juan Antonio: Javier Bardem è straordinario nel caratterizzare, già da quella inquadratura, il suo personaggio.
Allen torna a riflettere sulla natura di quello che chiamiamo amore registrando gli spostamenti del cuore che vanno spesso al di là di ciò che ragione, tradizione, valori acquisiti ma mai del tutto interiorizzati, sembrerebbero imporre. Ecco allora che l'impostazione dei caratteri di Vicky e Cristina diviene da subito funzionale alla creazione di un'attesa. Resteranno salde nelle loro posizioni? In che misura potrebbero mutare atteggiamento? Quando dall'altra parte ci sono un Bardem che riempie lo schermo per la gioia di signore e signorine pronte a partire per Oviedo senza remore e una Penelope Cruz forse altrettanto efficace solo nelle mani di Pedro Almodovar, il gioco si fa ancor più interessante.
Anche perchè Woody ha abbattuto un altro dei suoi tabù. Se finora solo rarissimamente aveva girato in piena estate (fatti salvi Una commedia sexy in una notte di mezza estate, le cui riprese avevano pero' avuto luogo a poche decine di chilometri da Manhattan, e alcune scene di Tutti dicono I Love You) ora è la luminosa Barcellona ad attrarre il suo sguardo. Si sarà senz'altro trattato di esigenze produttive (come era accaduto per la peraltro nuvolosa e quindi rassicurante Londra). Fatto sta che il calore della città catalana (e della sorprendente Oviedo) si trasmette al film offrendogli un'ulteriore sensazione di novità. !Felicitaciones Woody! (Mymovies)

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venerdì 13 febbraio 2009

Come scaricare da http://Ifolder.ru

Ecco come si scarica da quella merda di Ifolder.ru:
Prendi ad esempio questo link:
http://ifolder.ru/20631941 corrispondente a un album dei Pink Floyd
Sotto la scritta in rosso clikka sul primo link sottolineato
in questo caso si apre la pagina
http://ints.ifolder.ru/ints/?ifolder.ru/20631941?ints_code=
con tante altre scritte, clikka su 1 di quei link in grassetto.
Si aprirà una nuova pagina con 1 countdown di 30 sec visibile in alto a destra, finito il countdown, indovina:
Si aprirà un'altra pagina ancora, dove dovrai inserire 1 codice di 4 cifre, poi premi su Enter.
Si apre un'altra pagina ancora, e se non ti sei già rotto i coglioni, evita gli sponsor e clikka sul link, ben visibile che comincerà' sempre così:
http://ifolder.ru/download/
con tante cifre e lettere e slash a fianco....ora puoi scaricare (forse).
Pierolupo lavora per te.

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